Vertice con Giorgetti. Il governo prepara il test di europeismo
Cronache di governo Il 17 il varo del Piano strutturale di bilancio e il primo momento della verità per Fitto commissario. Ottimismo a palazzo Chigi
Cronache di governo Il 17 il varo del Piano strutturale di bilancio e il primo momento della verità per Fitto commissario. Ottimismo a palazzo Chigi
In materia di rapporti tra il governo italiano e la Ue il 17 settembre è una data da cerchiare in rosso: quel giorno il governo approverà il Piano strutturale di bilancio di medio termine, innovazione introdotta dal nuovo Patto di Stabilità consistente nella definizione della traiettoria di spesa netta per rientrare dal deficit eccessivo in 4 anni. Periodo che però può arrivare anche a 7 anni su richiesta dei governi nazionali, e l’Italia lo chiederà, ma con condizioni poste dall’Europa tutte da trattare e definire. Il varo del Piano sarà dunque solo l’avvio di un negoziato difficile e delicato che inizierà davvero in ottobre. Il Psb sarà infatti discusso e approvato dal Parlamento italiano all’inizio di ottobre, in ritardo rispetto alle previsioni, per poi essere inoltrato a Bruxelles, sempre in ritardo ma la proroga è stata ammessa già ieri, per il 15 del mese.
NELLO STESSO 17 SETTEMBRE la presidente von der Leyen dovrebbe presentare la sua nuova squadra con relative deleghe e quello sarà il primo ma non l’ultimo momento della verità per Raffaele Fitto e per l’ipotesi di una sua vicepresidenza esecutiva con deleghe economiche, contro la quale puntano i piedi tutti i partiti alleati del Ppe nella nuova maggioranza Ursula, i Socialisti, i Verdi e i Liberali. Formalmente tra i due tavoli non c’è alcuna relazione. Politicamente invece quella relazione c’è tutta perché se è vero che l’esame per il governo italiano riguarderà il tasso di sincero europeismo è anche vero che uno dei principali banchi di prova per detto europeismo è proprio l’accettazione nei fatti e nei conti delle regole di bilancio.
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Sindaco, commissario e candidato in Regione Il terzo tempo di BucciIeri mattina i leader della maggioranza si sono incontrati con il ministro Giorgetti per il terzo vertice sulla manovra. Sul tavolo però c’era soprattutto il testo del Psb, le cui linee guida sono state illustrate dal ministro senza incontrare ostacoli di sorta. La tempistica, garantiscono i leader all’uscita, sarà quindi rispettata. Il resto del pacchetto, cioè il reperimento dei fondi per raggiungere i 25 miliardi necessari per la manovra e l’ipotesi avanzata da Giorgetti di sgravi fiscali molto rilevanti per le famiglie, costo almeno 5 miliardi, terranno banco la settimana prossima.
Sul fronte del ruolo che verrà assegnato a Fitto a palazzo Chigi si registra ottimismo e non senza motivo. I popolari e la presidente von der Leyen hanno deciso di tenere duro nonostante la levata di scudi degli alleati, le cui armi sanno essere in buona parte spuntate. I più intransigenti sono Verdi e Liberali, consapevoli che un allargamento di fatto della maggioranza ai Conservatori ne decreterebbe la marginalizzazione. «Quella eventuale vicepresidenza ci preoccupa molto», segnala il copresidente dei Verdi Bas Eickout. Il giorno prima lo slovacco Hojisik, per i Liberali, era stato anche più drastico: «Non vedo né le competenze né le ragioni politiche per una vicepresidenza esecutiva a Fitto». Ma da soli i due partiti oggi minori hanno pochi margini d’azione e la posizione dei Socialisti è sostanzialmente diversa.
IL GRUPPO SOCIALISTI e Democratici mirava soprattutto a trattare, con l’obiettivo di far rientrare in Commissione il suo Spitzenkandidat Nicolas Schmit, lussemburghese, commissario uscente a Lavoro e Politiche sociali. Ma il governo del Lussemburgo, oggi di centrodestra, non lo ha indicato come suo commissario. «Se la Germania guidata dalla Spd ha potuto indicare una popolare come von der Leyen, il Lussemburgo può fare lo stesso e indicare Schmit modificando la sua scelta. La presidente deve insistere», hanno provato a metterla giù dura i socialisti senza incrinare la decisione di Ursula e senza trovare alcuna disponibilità da parte del Ppe né sul caso Schmit né su quello Fitto. I Popolari non prendono troppo sul serio la minaccia di non votare per rappresaglia i commissari scelti dalla presidente: «In quel caso noi non voteremmo per i loro commissari», tagliano corto. Senza contare la spaccatura che si produrrebbe probabilmente tra i socialisti perché per il Pd, che nel gruppo è la delegazione più folta, bocciare il candidato italiano è ai confini dell’impossibilità
LA PARTITA SI SPOSTERÀ dunque nell’audizione di Fitto di fronte alla commissione parlamentare di Strasburgo. L’esame sarà certamente duro, il tentativo di mettere in dubbio l’europeismo dell’italiano e del governo che lo ha indicato martellante. Ma Fitto, ex popolare ed europeista davvero, ha comunque buone probabilità di farcela.
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