Lavoro

Vertenza call center, Almaviva prepara licenziamenti di massa

Vertenza call center,  Almaviva prepara licenziamenti di massa

Cuffiette in lotta 80 mila posti di lavoro rischiano di andare in fumo nei prossimi mesi. Confermata la chiusura delle sedi di Roma e Napol

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 20 ottobre 2016

La stima è catastrofica: 70-80 mila posti nei call center rischiano di andare in fumo «nel giro di qualche mese». Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom lo hanno spiegato chiaramente in commissione Lavoro al Senato, dove sono stati ascoltati informalmente sul caso Almaviva.

Il sistema delle “cuffiette” è in ginocchio, le clausole di salvaguardia fanno acqua da tutte le parti, le delocalizzazioni non si fermano e le aziende preferiscono abbattere i costi licenziando per poi assumere con il job act. La vertenza Almaviva rischia di diventare l’emblema del fallimento delle politiche del governo. Confermando la chiusura delle sedi di Roma e Napoli e il trasferimento di 330 dipendenti da Palermo a Rende, la società sta facendo pressioni sul governo per ottenere migliori condizioni di mercato. E anche gli altri operatori non sono da meno. Exprivia, che è subentrata ad Almaviva nella gestione della commessa Enel, non intende farsi carico tout court, nella sua sede di Molfetta, del personale del contact center di Palermo, in barba alle clausole di salvaguardia. Un black-out che ha fatto salite la tensione alle stelle tra i lavoratori. Ieri i 154 «che dovranno recarsi a Rende» a partire da lunedì prossimo, secondo il diktat dell’azienda, hanno occupato i locali della società, trovando la solidarietà di altri colleghi.

Sulla terrazza dell’edificio hanno affisso alcuni striscioni mentre altri simbolicamente hanno messo catenacci al cancello del call center. Perché oltre ai disagi di un trasferimento «assurdo» per dipendenti part-time con 700 euro al mese e in molti casi figli a carico, i sindacati sono convinti che dietro ai trasferimenti «si celano licenziamenti mascherati». «È inaccettabile giocare con la pelle dei lavoratori seguendo solo logiche economiche e di profitto: siamo pronti alla trattativa costruttiva ad oltranza ma non accetteremo condizioni ricattatorie, se non si trova una soluzione su questa vertenza, oltre a perdere centinaia di posti di lavoro, ipotecheremo definitivamente la civiltà di questo paese», dice Rosy Contorno della Uilcom.

La reazione dell’azienda è stata immediata. I dirigenti hanno chiamato la polizia. In sede è arrivata la Digos, è partita una trattativa. Alla fine di fronte alla minaccia di sgombero, i dipendenti hanno trasformato l’occupazione in assemblea permanente. Oggi alle 18 è in programma il secondo round al Mise. E bisogna stare sul pezzo. I lavoratori per l’intera mattinata manifesteranno davanti la sede di via Cordova: «Dobbiamo fare capire al nostro amato presidente che dietro 3.200 lavoratori ci sono 3.200 anime che da 15 anni continuano a lavorare con professionalità e spirito di abnegazione, ricordiamoci tutti che #siamotuttialmaviva non può essere solo uno slogan».
Nel pomeriggio sit-in davanti alla Prefettura, proprio nelle ore in cui al Mise la trattativa sarà entrata nel vivo.

Domani la protesta si sposterà davanti al teatro Santa Cecilia, dove è atteso Renzi per una manifestazione a sostegno del referendum: gli operatori si presenteranno alle 21 muniti di badge e di lumini. «Potremo gridare il nostro sdegno a chi ha il potere di fare attuare, in brevissimo tempo, le leggi per una chiara e sostenibile regolamentazione del settore», dicono i sindacati. «Almaviva continua a non voler bloccare questi trasferimenti. E il terribile ricatto sta andando avanti, una pistola puntata sui lavoratori a basso reddito, che sono nel panico, sono impazziti, minacciano il suicidio, di darsi fuoco. Non si gioca così con la vita delle persone», è l’allarme del segretario Slc Cgil di Palermo, Maurizio Rosso. «Governo, Regione, comune, Industria si mettano insieme al sindacato per costruire una posizione politica seria, non più rimandabile», aggiunge, perché «la Cgil non accetterà mai condizioni arroganti e abominevoli, che non risolveranno mai le problematiche dell’occupazione e dello sviluppo di questo Paese».

Per la Cgil «il settore dei call center non ha bisogno di interventi da pronto soccorso, dopo sette mesi di vertenza avevamo pensato di condurre la discussione verso una risoluzione che prevedesse fondi strutturali, tavoli dedicati, formazione, ricerca, sviluppo per poter offrire lavoro e garanzie». «I committenti di questo settore, che sono tutti multinazionali, e penso a Telecom, Enel, Poste italiane – è lo sfogo di Rosso – non si possono più permettere di fare offerte al massimo ribasso sulla pelle dei lavoratori, uccidendo il lavoro».

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