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Il cappio del silenzio

Verso l'eutanasia legale Sono passati 253 giorni dal deposito in Parlamento della proposta di legge popolare, 208 dall’incontro del Comitato promotore con Boldrini, 67 dalla lettera di Napolitano

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 24 maggio 2014

Gli elenchi annoiano il lettore, ma ricordare le lunghe attese a cui è sottoposto il comitato promotore della campagna Eutanasia Legale è utile a inquadrare il problema. Sono ormai passati 253 giorni dal deposito in Parlamento della proposta di legge popolare, 208 giorni dall’incontro del Comitato promotore con la presidente Boldrini, 67 giorni dalla lettera di Napolitano per richiamare l’attenzione sul tema. «Nonostante questo, nulla si è mosso in Aula e nelle commissioni competenti» evidenzia Carlo Troilo. «Intendo denunciare questa inerzia del Parlamento. E lo faccio assieme a Chiara Rapaccini, compagna di Mario Monicelli; Luciana Castellina, compagna di Lucio Magri e al figlio di Carlo Lizzani, Francesco: tre persone che hanno vissuto come me – spiega Troilo – il dramma del suicidio di un un familiare». Secondo gli ultimi dati Istat – dallo stesso istituto definiti sottostimati – nel decennio 2000-2009 (esclusi gli anni 2004 e 2005 per i quali non si hanno informazioni) sono stati 31.621 i suicidi in Italia. Nel solo anno 2010, dove i suicidi sono stati 3.048, il movente delle malattie fisiche e psichiche si attesta come la causa principale di suicidio con una percentuale del 46%. La stessa ragione spinge il 39% di coloro che hanno solamente tentato il gesto estremo. Scandalosa risulta essere l’inerzia del Parlamento sul tema del fine vita quando si pone l’attenzione sulla violenza con la quale le persone malate si tolgono la vita: il 47% degli uomini per impiccagione e il 37% delle donne per «precipitazione». Per il legislatore, eludere dati di una tale gravità, equivale a voltare lo sguardo davanti a uno Stato che tollera la più macabra e violenta condanna a morte autoinflitta per migliaia di persone piuttosto che legalizzare l’eutanasia.

Essere favorevoli a questo tipo di legalizzazione non significa tifare per la «morte facile». «Non siamo a favore dell’eutanasia» afferma infatti la prima firmataria dell’iniziativa popolare, – Mina Welby – in un’intervista a Vanity Fair «proprio come nessuno è a favore del divorzio o dell’aborto. Sono soluzioni a cui nessuno vorrebbe ricorrere, ma possono diventare indispensabili, salvifiche. Siccome esistono malattie inguaribili e questa vita va verso una fine, è giusto che ogni adulto scelga per sé quello che ritiene giusto». Come ricorda il radicale Cappato: «Decidere come morire è una scelta: ciascuno decide ciò che è peggio o meglio per sé, fermo restando l’obbligo dello Stato di fare il massimo per alleviare ogni sofferenza».

Associazione Luca Coscioni – www.eutanasialegale.it

 

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