Donne sospese tra potenza e vulnerabilità. Optano per una terza via, quella dello scarto laterale. L’insoddisfazione resta, a volte anche la solitudine, ma la trama è scompaginata e la perdita di sé per il momento scongiurata. Sono le protagoniste degli undici racconti contenuti in La vita è breve, eccetera in libreria da qualche settimana per Einaudi (pp. 168, euro 17.50).

La penna è quella della scrittrice romana Veronica Raimo. Il suo libro precedente, Niente di vero uscito nel 2021, è stato un sonoro successo editoriale. Lei però scriveva già da molto prima e non si è mai fermata. Oltre ai quattro romanzi, una sostenuta produzione di racconti alcuni dei quali sono raccolti in questa nuova uscita. Il primo risale al 2008, l’ultimo è uscito quest’anno. Undici storie che ruotano intorno a figure femminili. Le protagoniste, alcune giovanissime altre più vissute, sono tutte vagamente recalcitranti al compassato galateo della maturità.

L’ATMOSFERA è quella lieve della domenica sera: inquietudine, fatalismo e sarcasmo accompagnano anche le vicende più drammatiche. La profondità del dolore quando viene lambita per qualche manciata di righe è poi subito elusa da un dettaglio frivolo o inghiottita dai paradossi della città.

Al centro spesso c’è la «questione sentimentale». Sex and lies, l’amore, il quasi-amore, misteri che non ci si stufa mai di interrogare, il gioco pieno di scorrettezze dove l’unica regola è perdere. Ostinazione a farsi del male ma sempre con un tocco di grottesco, come Gino, il cane autolesionista del primo racconto, che a intervalli regolari prende la rincorsa per sbattere la testa contro un muro.

Raimo non è un’autrice che sgomita per nutrirsi al buffet del femminismo, tuttavia il rapporto tra i generi e la fatica di smarcarsi dal sessismo, quello imposto e quello assorbito nella pelle, sono ovunque, con discrezione, nei sui scritti. Una delle protagoniste si sforza di non chiamare l’ex di fronte all’horror vacui pieno di insidie di una vita tutta per sé. Un’altra scopre il piacere sessuale all’interno di un rapporto totalmente sbilanciato con un uomo molto più grande e influente. Un’altra ancora si trasforma da crocerossina a schiaffeggiatrice in un lesbo drama che è un trattato sulla manipolazione affettiva.

Ma se le relazioni sono il tema esplicito del volume, ce ne sono altri che restano sottotraccia. Due tra tutti: Roma e la scrittura. La prima è in realtà accennata solo in pochi racconti, resta più che altro un’allusione per chi la vuole cogliere. Fa capolino in alcune vicende con la solennità dei musei e l’angustia dei condomini. In altre, come nel racconto Canicola privata, semplicemente sta lì e ripaga con una cieca indifferenza chi da lei fugge e torna, la ama e odia, in cerca di una cura per le proprie pene.

IL RAPPORTO con la scrittura invece emerge bene dai toni assurdi del secondo racconto, La commissione. Fine assoluto e altissimo che spinge a ogni bassezza, la ricerca dell’ispirazione è il motore che muove la vita, l’anima venduta al diavolo, l’altare sul quale si sacrifica a cuor leggero la serenità in cambio della magia delle cartelle riempite. Scrivere è un po’ la squadra del cuore e un po’ la multa sul cruscotto, ma è anche poi spesso un pretesto come un altro per andare da qualche parte o far succedere qualcosa.

La separazione infine è presente in ogni pagina di questo libro. L’undicesimo e ultimo racconto si intitola Presenza e ne rappresenta un lirico concentrato. Qui Raimo ci consegna una verità lampante sull’amore: «Lasciarsi non significa nulla. Lasciarsi non è un punto fermo nel tempo. Scolpito. Immobile. Lasciarsi non è un passaggio, una svolta. Non esiste un prima e un dopo. Lasciarsi è un’esperienza continua». Il libro si chiude così, suo malgrado, con un ultimo inatteso dono per chi legge: la frase perfetta da postare sui social in occasione dei prossimi futuri spezzamenti di cuore.