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Verlaine, una ininterrotta seduta di auto-analisi

Verlaine, una ininterrotta seduta di auto-analisiParticolare di una lettera di Paul Verlaine a Germain Nouveau

Ottocento francese Paul Verlaine scrisse almeno duemila lettere, molte smarrite a causa di una vita turbolenta. Quelle conservate sono state tradotte da Aragno in due volumi: Corrispondenza (1857-1885)

Pubblicato più di un anno faEdizione del 9 luglio 2023

Sono gli ultimi anni della sua vita. Entra ed esce dagli ospedali. Soffre di reumatismi, soffio al cuore, un inizio di diabete e dei postumi di una sifilide di vecchia data. Non ha un domicilio fisso. Perseguitato dalla miseria va ad alloggiare in un albergo al 272 di rue Saint-Jacques, quartiere frequentato da prostitute, ruffiani e mezzane. Passa poi per camere ammobiliate, finché trova rifugio al 4 di rue de Vaugirard. Poi al 15 di rue Descartes. E poi al 21 di rue Monsieur le Prince…

Tenta di convivere con la sua ultima amante, Eugenie Krantz, in arte Nini-Mouton, ex interprete di music-hall che gli ha ispirato venticinque brani per Chansons pour Elle. Lei lo ospita a casa sua, una mansarda al 16 di rue Saint-Victor, presso l’École Polytechnique. Si stabilisce finalmente «en ménage» con Eugenie Krantz, mutata ormai nella sua badante, in un piccolo alloggio, due stanze e cucina, al 39 di rue Descartes. In quella casa, con accanto Eugenie e il giovane pittore Cormety, Paul Verlaine spirerà l’8 gennaio 1896, nel tardo pomeriggio. Cazals, subito accorso, esegue alcuni schizzi dell’amico sul letto di morte.

In quegli anni inquieti, stanco e ammalato, Verlaine aveva trovato aiuto negli amici che facevano richieste per lui al governo che «eccezionalmente» concedeva piccole somme. Sollecitato sempre dagli amici ripropone – già aveva tentato una prima volta nel novembre 1887, spinto dall’ editore Léon Vanier – la sua candidatura all’Académie française, al seggio che era stato di Hippolyte Taine. Gli «immortali» non lo prendono in considerazione. Viene disconosciuto a causa del suo turbolento passato.

Quando negli estremi anni percepiva in sé temporanei momenti di ripresa dai malanni, Verlaine si trascinava per le strade del quartiere latino raggiungendo il Café François Ier, da lui eletto quale rifugio e luogo di incontri. Lì andavano a salutarlo gli amici. Passavano curiosi per guardare una delle glorie francesi della poesia. Jules Renard lo vide: «… è uno smorto Socrate… un Diogene sudicio, un po’ cane e un po’ iena…». Al café fu «sorpreso» da Dornac che lo immortalò in una ormai celebre fotografia. Quell’immagine riassume la vita di Paul Verlaine: sul piano del tavolino l’immancabile bicchiere d’absinthe e lui vagamente assorto nei suoi pensieri nell’atto di scrivere. Una poesia o una lettera.

Non si può far cenno alla positura di Verlaine che si approssima alla scrittura senza far riferimento anche al suo epistolario, ora tradotto «liberamente» da Nino Aragno Editore – a partire dall’edizione della Correspondance générale 1857-1885 a cura di Michael Pakenham (Fayard, 2005) –, sotto il titolo Corrispondenza, in due corposi volumi (insieme € 60,00) a cura di Vito Sorbello: 1857-1874 il primo (pp. LIX-520), 1875-1885 il secondo (pp. 624).

A giustificare l’interpretazione italica dell’opera francese da cui è tratta, si apprende dalla nota editoriale che dell’edizione Pakenham non sono «seguiti esattamente i criteri… Le lettere di Verlaine sono state interamente riprodotte, si è invece operata una scelta per quelle dei suoi corrispondenti… Non si è tenuto conto, tranne che per pochi casi di cui si può trovare la descrizione nelle note, dei disegni che corredavano le lettere che Verlaine, Delahaye e Germain Nouveau amavano scambiarsi».

Facendo un conto assai approssimato Verlaine, autentico grafomane, scrisse almeno duemila lettere. E ci si riferisce a quelle più o meno conosciute. Molte si sono smarrite. Nulla resta della voluminosa corrispondenza con la madre; perdute le lettere inviate alla moglie Mathilde Mauthé e ai suoceri. Perdute le lettere scambiate con Rimbaud rimaste in rue Nicolet, dove Verlaine abitava dopo il matrimonio, fin al fatale 7 luglio 1872, quando un Verlaine infoiato, mollando tutto, scappò con Rimbaud alla ricerca della reciproca felicità. Sicuramente scomparse le lettere inviate a Rimbaud, «seminate» in ogni angolo della vita sua errabonda. Smarrite, salvo alcune fortunate trouvailles, anche quelle inviate a Germain Nouveau, e da lui disperse ovunque.

A margine della loro esistenza, arrivate nelle mani di «studiosi» e rese pubbliche in più occasioni, con difforme sorte, le lettere di Verlaine mutano in vagolabili allucinazioni. Confessione continua di infelicità sfacciatamente sarcastica, attraversata da una perfida, spesso inconscia autoironia, le missive finiscono col rassomigliare a una vera e propria ininterrotta seduta di autoanalisi, da cui affiora chi fosse realmente l’uomo Paul Verlaine.

Si può tentare di esplorare una ipotetica «cartella clinica» dell’autore di questa corrispondenza, partendo da una sua poesia fortemente autobiografica: «Era nato per piacere a ogni anima un po’ fiera / sorta d’uomo in sogno e capace del meglio / a volte tutto sorriso, a volte tutto preghiera / e sempre cieli inteneriti negli occhi…». Come un bambino impaurito, nutrito di presunzione, Verlaine si «esibisce» nella corrispondenza, anche quando tratta con gli editori per dare un senso ai suoi testi da pubblicare, mostrandosi con l’arroganza di un mendicante all’angolo di una strada, schiacciato dal dolore e dalla miseria.

Nessun poeta del suo tempo è stato tanto falcidiato sotto il peso della sorte. Inerte e privo di resistenza. Si gettava docilmente tra le braccia di un qualsiasi pericolo: le donne, la religiosità, il bere e la letteratura, che stringevano spietatamente la sua anima dissanguata tra sospiri, esultanza e urla, uscendone sempre schiacciato e ferito. La sua aspirazione sarebbe stata quella di vivere con una sinecura di funzionario pubblico, stare con la madre in una quieta agiatezza, anche se al fondo del suo animo si agitavano la passione, la sensualità, l’ardire impudico e il cieco abbandono. I sensi eccitati e acuiti, la bestia insaziabile, selvaggia, indomabile, si scatenava in lui, slanciato nel piacere senza che la riflessione potesse porvi un freno. Affiorava continuamente il disprezzo di se stesso, attenuato illusoriamente con il pentimento. Finché una nuova forza irruppe nella sua vita: Arthur Rimbaud.

Il ragazzo di Charleville gli aveva inviato alcune poesie. Verlaine, abbagliato dai versi del Bateau ivre, gli rispose nell’agosto 1871: «…Ho come un sentore della vostra licantropia … Voi siete prodigiosamente armato per la guerra…». E poi un’altra lettera di fine agosto 1871: «… Venite, cara grande anima, vi si chiama, vi si attende…». Frammenti da due lettere smarrite di Verlaine a Rimbaud dovute a una memoria ricostruita, o forse a una illusoria invenzione, propalate da Charles-Ernest Delahaye, il «pettegolo» intricato tra i due, con il suo Rimbaud, l’artiste et l’être moral. Due schegge di lettere segnano l’inizio di una storia iperconosciuta, conclusasi nell’incontro tra Paul e Arthur a Stoccarda, dopo Bruxelles e la pistolettata di Verlaine a Rimbaud; il carcere scontato a Mons per il crimine perpetrato contro l’amico; dopo la conversione di Verlaine alla fede.

L’incontro tra i due a Stoccarda fu resocontato da Rimbaud a Delahaye con una lettera del 5 marzo 1875, decorata con un festone di disegni osceni: «Verlaine è arrivato qui l’altro giorno, con un rosario tra le grinfie… Tre ore dopo avevamo rinnegato il suo dio e fatto sanguinare le 98 piaghe di N.S. È rimasto per due giorni e mezzo molto ragionevole e alle mie rimostranze se ne è tornato a Parigi». A Stoccarda Arthur affidò a Paul il manoscritto di Illuminations: l’opera estrema di Rimbaud che Verlaine si dedicò a pubblicare. Così come, lo desumiamo dalle lettere inviate agli editori, si preoccupò generosamente di costruire il mito poetico di Rimbaud.

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