Verducci (Pd): nomine Rai? Sì è stato uno strappo
Intervista al vicepresidente della commissione di Vigilanza, democratico della corrente dei giovani turchi: "E' stato il secondo inciampo del nuovo corso, ma il pluralismo è salvaguardato"
Intervista al vicepresidente della commissione di Vigilanza, democratico della corrente dei giovani turchi: "E' stato il secondo inciampo del nuovo corso, ma il pluralismo è salvaguardato"
Senatore Francesco Verducci, lei è vicepresidente della Vigilanza Rai. Avete discusso un piano sull’informazione che non era stato approvato dal cda. Avete consentito che le nomine si facessero a prescindere. In molti parlano dell’occupazione della Rai da parte del governo.
Non mi è piaciuto quanto avvenuto. I vertici Rai hanno forzato la mano, e hanno sbagliato. Ma la Vigilanza non può interferire con le nomine e la riforma voluta dal Pd ha accentuato questa separazione. Fatto salvo il pluralismo, l’autonomia dell’azienda è sacra. Mi sarei aspettato che le nomine avessero seguito il varo del nuovo piano editoriale, non viceversa. Sono legittime, ma frutto di un percorso sbagliato che mina la credibilità del nuovo corso. Non il pluralismo, in Rai tutte le voci saranno rappresentate.
L’unico direttore confermato è quello il cui Tg è meno equilibrato sul tema del referendum. Sicuro che questo non abbia interferito?
Strumentalizzazioni. I dati Agcom dicono che c’è equilibrio nell’informazione. Non entro nel merito delle scelte, ma non c’è alcuna epurazione. Masi sarà ai vertici dell’azienda, e Berlinguer, di cui ho apprezzato il Tg, continuerà ad essere un valore aggiunto alla guida di nuovi format.
Anche stavolta la politica, anzi il governo, ha dettato tempi e nomi.
La politica deve indicare la mission, non i nomi. L’azienda ha fatto errori. La gestione della vicenda trasparenza e quella delle nomine sono due passi falsi. Sulla trasparenza bisogna andare fino in fondo. Mettere online tutti gli stipendi, anche quelli dei conduttori. Risolvere in fretta la questione dei fuori ruolo con stipendi esorbitanti. E va al più presto varato un codice di autoregolamentazione che riporti in Rai il tetto ai 240mila euro per tutti come voluto dal governo.
La Rai ha emesso bond e per questo si ritiene autorizzata a sforare. Che farete per riportarla sotto il tetto?
In audizione presidente e dg hanno preso l’impegno a intervenire autonomamente. La Vigilanza ha chiesto loro con forza di uniformarsi al tetto. Altrimenti bisognerà intervenire.
Il governo ha nominato questi vertici e promesso che la Rai avrebbe cambiato verso.
Siamo a un anno dall’insediamento. Direi che sono forti nella teoria ma indietro nella pratica. Salvo il lavoro sul digitale, il piano industriale resta indeterminato: manca un piano per le news. Ci vuole più coraggio. Serve una newsroom unica, come nei più grandi servizi pubblici europei. La concorrenza asfissiante tra testate è controproducente.
Avete cambiato i vertici che avevano proposto le newsroom, volete ripristinarle? Le diversità tra le reti non hanno invece il vantaggio di attrarre segmenti di pubblico diversi?
Serve una rivoluzione. Il pluralismo è cosa diversa dalla sommatoria delle parzialità.
I nomi dei nuovi direttori, al di là dei meriti di ciascuno, non seguono alcun piano. A quale logica rispondono allora?
Deve chiedere ai vertici Rai. Questo passaggio ha segnato una rottura nei rapporti tra loro e la Vigilanza, e quindi tra i vertici Rai e il parlamento che ne è di fatto l’azionista per conto dei cittadini. Uno strappo. A maggior ragione vigileremo sul progetto. C’è un altro elemento di preoccupazione: nei nuovi palinsesti cala l’informazione e cresce l’intrattenimento. Non è così che agganceranno le nuove generazioni.
Insomma i nuovi vertici sono in carica da un anno ma di nuovo non si vede nulla?
La Rai deve tornare credibile. Nell’azienda ci sono sperequazioni inaccettabili, spesso sfrutta precariato e partite iva. Finché non si risolve, di che servizio pubblico parliamo? Stesso vale per i rapporti con le società di produzione. Basta con lo strapotere di un cartello monopolistico di manager dello spettacolo che condizionano i palinsesti.
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