Venti studenti per classe è il numero della rivoluzione
Istruzione Prima del virus 1 milione e 260 mila minori viveva in condizioni di povertà assoluta, anche per la crisi economica del 2008. Sono i più a rischio di dispersione scolastica
Istruzione Prima del virus 1 milione e 260 mila minori viveva in condizioni di povertà assoluta, anche per la crisi economica del 2008. Sono i più a rischio di dispersione scolastica
Agli «Stati Generali» nei confronti della scuola si è operata una sorta di rimozione. Eppure è il tema più urgente.
Senza la scuola, quella autentica che è innanzitutto comunità fatta di partecipazione, di reciprocità, di consapevolezza condivisa, semplicemente non esiste la società e non può esistere la democrazia.
La scuola è cittadinanza ed emancipazione. Nonostante l’impegno straordinario della classe docente, la didattica a distanza ha dimostrato interamente i suoi limiti ingigantendo disparità e diseguaglianze, dispersione ed esclusione.
La crisi sociale post-Covid ha nella «crisi educativa» uno dei suoi aspetti più drammatici. Sconcerta la mancanza da parte del Governo di un «piano» per il nuovo anno scolastico, di una «visione» strategica per la scuola pubblica e, di conseguenza, per il Paese.
Il «blocco» ha squadernato una dura verità: il nostro sistema di istruzione va radicalmente ripensato, perché non è in grado di essere leva di reale inclusione per i ragazzi che scontano condizioni di partenza sociali, economiche e territoriali svantaggiate. Al rischio della «dispersione» si somma quello dell’abbandono. Fratture che diventano insanabili.
L’ascensore sociale è rotto perché il «motore» dell’istruzione è inceppato. Le statistiche sono impietose. Chi arriva alla laurea è quasi sempre figlio di laureati, mentre la gran parte di chi frequenta istituti tecnici o professionali non si iscrive all’università. Una barriera «classista» che alimenta marginalità ed esclusione, acuite in questi mesi.
Prima del virus un milione e 260 mila minori viveva in condizioni di povertà assoluta, anche in conseguenza della crisi economica del 2008. Sono i più a rischio di dispersione scolastica.
In autunno questi numeri peggioreranno. Ad ognuno corrisponde un nome, una storia, sogni e speranze.
Scuole chiuse ha significato anche mense e palestre chiuse e per molti il venir meno di pasti completi e corretta attività motoria. Mancanza di apprendimento, salute e nutrizione. Un costo sociale troppo alto per non prendere coscienza che è questa la battaglia vitale.
La scuola ha bisogno immediato di investimenti ingenti e strutturali, oppure rischia la débâcle. Non basta quanto stanziato nel Decreto Rilancio. Anche se il virus fosse definitivamente debellato (ma sappiamo che non è così) è un grave errore pensare di tornare a quel che era «prima». Anzi a peggio di prima.
Ridurre il tempo-ora di insegnamento e quindi il monte ore complessivo di apprendimento per gli studenti avrebbe conseguenze disastrose per la crescita individuale e collettiva. Sarebbe l’ammissione di un fallimento, culturale e politico.
Esiste un’alternativa e va messa subito in campo partendo da ciò che è più urgente.
Primo: l’inclusione, mettere al centro i bisogni degli studenti. Servono più aule, spazi e strumenti didattici rinnovati.
Secondo: investire sulla professionalità dei docenti. Serve più personale scolastico. Innanzitutto più insegnanti. Di ruolo e non precari.
Il precariato mortifica progetti di vita ed è nemico della qualità dell’insegnamento, della continuità didattica, della crescita formativa. Servono investimenti strutturali: cinque miliardi per ridurre a 20 il numero degli alunni in classe. È una rivoluzione necessaria.
È quanto sta facendo il governo spagnolo. Va fatto altrettanto. A partire da un piano contro il precariato. È un tema politico che va posto con determinazione, contrastando la vulgata denigratoria e punitiva nei confronti dei precari della scuola.
Nel dibattito politico-parlamentare e giornalistico campeggia il tono sprezzante che etichetta i precari come fossero dei furbetti intenti a gabbare un concorso. Come se essere precari fosse una colpa da cui redimersi, e non invece un’ingiustizia. Una campagna aggressiva ammantata della ipocrita retorica del merito che in questi anni di neo-liberismo è stata utilizzata nel discorso pubblico per colpire i più deboli e aumentare le diseguaglianze.
Vanno rovesciati i termini di questa impostazione, che tiene sotto scacco con i precari l’intera vertenza per la scuola, modificando alla radice un sistema che produce e sfrutta il precariato, licenziando a giugno per poi riassumere in settembre, «risparmiando» a scapito di insegnanti e studenti.
C’è il rischio che il prossimo anno si apra con oltre 200mila precari. Per questo è urgente introdurre un percorso certo di progressione abilitante che permetta l’immissione in ruolo dei docenti in base al fabbisogno (in virtù di una prova concorsuale imperniata sulla valutazione delle competenze professionali).
Il «decreto scuola» è stata un’occasione persa malamente.
Serve un altro provvedimento urgente, che sulla base della straordinarietà del prossimo anno scolastico delinei il ripensamento strutturale della nostra scuola. Coinvolgendo le autonomie territoriali, tenendo alto il dibattito pubblico e politico, facendo vivere una battaglia per la scuola pubblica che sia il modo per ottenere le risorse necessarie.
Ci sarà un nuovo scostamento di bilancio. E ci saranno i fondi europei.
Ci sono finalmente le condizioni, da subito, per un grande investimento. Per il diritto allo studio, per la qualità dell’istruzione, contro il precariato. Per il futuro del nostro Paese.
* L’autore è Vice presidente Commissione Cultura e Istruzione del Senato
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