Vent’anni di un amore ai tempi della Guerra Fredda
Al cinema Il film di Pawel Pawlikoswki - «Cold War» - una vicenda ambientata nel conflitto che inizia alla fine del secondo conflitto mondiale e divide il mondo
Al cinema Il film di Pawel Pawlikoswki - «Cold War» - una vicenda ambientata nel conflitto che inizia alla fine del secondo conflitto mondiale e divide il mondo
Cold War, la «guerra fredda» che inizia alla fine del secondo conflitto mondiale e divide il mondo, russi/americani, ovest/est, cortine di ferro e allez-retour impossibili (ai più), con le vite che la storia condanna all’infelicità. É lungo questi confini che si svolge il nuovo film di Pawel Pawlikoswki per il quale il regista di Ida (Oscar per il miglior film straniero, 2015) sceglie ancora una volta il bianco e nero e un formato «eccentrico» (1:33), con la stessa ammiccante furbizia che caratterizzava il precedente. E del resto, perché no, visto il successo che anche questo sembra confermare con premi a ripetizione e, nuovamente, ottime possibilità nella corsa alla statuetta?
SIAMO IN POLONIA, nel 1949, una coppia di musicisti attraversa le campagne, come dei Lomax dell’est, alla ricerca della musica della tradizione per esaltarla nel socialismo; da quella purezza deve ripartire l’arte del futuro – pure se ci vorrà poco perché che tutto questo si trasformi in propaganda. Tra le allieve della scuola voluta dal partito ce ne è una diversa dagli altri, Zula (Joanna Kulig), ha la voce più bella, è cattolicissima e sfrontata. Wiktor (Tomasz Kot) ne è incantato, quasi subito la coppia dell’inizio scoppia travolta da questo nuovo amore che – lo sappiamo – sarà devastante. «Non ti lascerò mai» promette all’uomo sfidando con l’amore ogni proibizione.
SE IN «IDA» Pawlikowski guardava alle suggestioni della nuova onda – più cecoslovacca che polacca – qui siamo dunque nel melodramma: Wiktor e Zula – ispirati ai genitori del regista a cui è dedicato il film – si inseguono attraverso l’Europa tra fughe clandestine a Parigi e devastanti ritorni in patria, tra canti socialisti e musica jazz – lui è pianista, lei cantante – in una serie di ellissi narrative che coprono vent’anni. Il problema è che non ci sono né il melò né la musica, Pawlikowski è troppo preso a curare la confezione del suo bon bon per cogliere le ambiguità (e l’irrequietezza) del desiderio e lasciarvi fluttuare i suoi personaggi ai quali, invece, riserva l’espiazione del cattolicesimo più feroce. In una lezione di catechismo gelidamente patinata senza sussulti e sentimento.
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