Internazionale

Venezuela, 21 detenuti morti «avvelenati» nel carcere di Uribana

Venezuela, 21 detenuti morti «avvelenati» nel carcere di UribanaIl carcere venezuelano di Uribana – Reuters

Aperta un'inchiesta Per il ministero le vittime sono 13. I detenuti protestavano da due giorni contro le condizioni di vita nella prigione

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 28 novembre 2014

Tredici detenuti morti, 21 secondo l’Osservatorio venezuelano delle prigioni (Ovp), una Ong di opposizione. È accaduto nel Centro Penitenciario de Centroccidente David Viloria, noto come Uribana, nello stato Lara (nella foto reuters). Secondo il comunicato ufficiale del ministero de Asuntos Penitenciarios, i reclusi «sono entrati con violenza in infermeria, hanno assaltato la farmacia e i laboratori e hanno ingerito farmaci di ogni tipo». In conseguenza, 145 detenuti «sono rimasti intossicati e sono stati prontamente curati».

La magistratura ha aperto un’inchiesta e ha inviato un’ispezione sul posto. Anche la ministra delle Carceri, Iris Varela si è recata a Uribana ad affrontare la rabbia dei parenti fuori dal carcere. La rivolta si è verificata lunedì scorso, nelle prime ore della mattina quando, durante la conta, un gruppo di detenuti ha dichiarato di essere in sciopero della fame «per esigere la destituzione di un funzionario del Ministero che presumevano sarebbe stato nominato Direttore del centro», dice il comunicato. Poi, «hanno cominciato a rompere porte e pareti dell’area di reclusione». A mezzogiorno, funzionari del Ministero «hanno cercato intavolare il dialogo con i reclusi e persuaderli a riguadagnare le sezioni», ma alcuni detenuti che si trovavano alla porta hanno raccontato dell’assalto alla farmacia e dell’intossicazione dovuta all’ingerimento di «antibiotici, antiepilettici, alcol…». I fatti registrati – aggiunge il comunicato – «non hanno alterato il regime di assoluto rispetto dei diritti umani e controllo integrale alla popolazione privata di libertà che vige nel penale, uno dei 70 centri in cui si applica il nuovo modello penitenziario che sta superando quello vecchio, caratterizzato anarchia e violazione dei diritti umani».

Un modello che, in quindici anni di «socialismo bolivariano», sta cercando di recuperare il cronico sistema di abbandono in cui erano state tenute le carceri: fino al punto da costituire un vero e proprio stato nello stato, con tanto di detenuti armati e organizzati secondo direttive criminali o gerarchie di sopraffazione. Un modello basato su «prevenzione, studio e lavoro», ma difficile da realizzare: sia per le resistenze interne, il più delle volte armate che impediscono violentemente un altro indirizzo, sia per l’arretratezza e la corruzione dei funzionari.

Una miscela a cui concorrono anche i ritardi processuali, spesso condizionati dalle stesse dinamiche e opacità e da chi ha interesse a soffiare sul fuoco dell’«insicurezza». Per far fronte ai ritardi processuali e al mancato trasferimento dei detenuti, il governo ha disposto il trasferimento dei tribunali direttamente in alcuni carceri di riferimento e ha moltiplicato «le Procure di prossimità». Secondo il rapporto semestrale delle Ong di opposizione, nella prima metà del 2014 sono morti 150 detenuti in distinti episodi di violenza, soprattutto nel tentativo di impedire il trasferimento in altre carceri. Sempre secondo i dati delle Ong, si registra però una sensibile diminuzione delle violenze (il 14% in meno nel 2013). Nel primo semestre del 2014 – dice l’Osservatorio – , la popolazione carceraria ammontava a 55.007 persone, il 64,56% delle quali in attesa di processo, 31,58% già condannato e il resto in regime alternativo.

Lo sciopero era peraltro già stato annunciato nei giorni scorsi dal movimento Resistencia e dal partito Voluntad Popular, a cui appartiene il leader della destra Leopoldo Lopez.

Ad amplificare l’episodio sono stati soprattutto gli avvocati di due accusati per le violenze contro il governo, scoppiate nel febbraio scorso, reclusi nel penale in attesa di processo. Si tratta di Raul Emilio Baduel (figlio di un generale arrestato ai tempi di Chavez che da tempo rifiuta le misure alternative) e di Alexander Tirado, noto come «El Gato de Aragua». Secondo i messaggi twitter dei familiari, i due avrebbero fatto parte delle proteste. Militanti che, come si può vedere dai loro siti, chiedono «la salida» (l’espulsione) di Maduro, sostenuti dalla ex deputata di estrema destra Maria Machado. Machado ieri ha reso pubblico di avere ricevuto un mandato di comparizione per il 3 dicembre dovuto all’accusa di aver attentato alla vita del presidente.

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