Nel 1977, un altro mondo in Italia che conosceva intuizioni di futuro e un tenace attaccamento alle ragioni e alle urgenze di uguaglianza, le strade erano piene anche di rumore festoso. Non solo di strappi sonori riconducibili alla vulgata asfittica degli «anni di piombo». Nel 1977 uscì nelle librerie un libro rivoluzionario, The Tuning of the World, presto tradotto in Italia col fortunato titolo Il paesaggio sonoro, che riprendeva l’altrettanto fortunato termine soundscape. Ne era autore Raymond Murray Schafer, compositore e ambientalista canadese, che introdusse per la prima volta una ricognizione motivata sul fatto che viviamo immersi in ambienti sonori specifici, legati all’evoluzione dell’impatto deflagrante di homo sapiens sull’ambiente tutto. Quando il «paesaggio sonoro», però, si trova a interagire con una mente creativa allenata e cosciente, può diventare esso stesso, di per sé, oggetto d’arte.

CIÒ CHE È RICOGNIZIONE obbiettiva di un humus fonico si tramuta in bellezza parcellizzata e rimontata, e il tutto va ad aumentare la nostra consapevolezza dell’ambiente sonoro in cui ci troviamo a vivere. Andrea Liberovici, compositore e uomo di teatro dal lungo percorso creativo, spesso con opere di pura dirompenza (basterebbe ricordare i lavori con Edoardo Sanguineti), frutto anche di un dna che mette in conto genitori che hanno lasciato spesse tracce nella scena culturale italiana, esce con un innovativo «libro dei suoni» per Squilibri che mantiene quanto promette nel titolo: Veneziacustica. Il tutto nasce da una memoria profonda (Liberovici è stato bambino e musicista precoce a Venezia, e ora lì è tornato a vivere) e da una memoria recente: una conversazione con Renzo Piano per Radiotre che ha scoperchiato un piccola rivelazione: Venezia, la città di laguna costruita su palafitte di legno «suona» nelle sue calli perché è come un gigantesco, risonante violoncello che accoglie chi ci vive dentro e si dà tempo per un ascoltare profondo che non è quello della fretta irrigimentata dei turisti.

ECCO ALLORA nascere ventiquattro «cartoline acustiche» sul suono di calli e campielli: ventiquattro poesie, venticinque acquerelli e chine di riferimento, e ventiquattro QR code che, inquadrati col telefono e fatti risuonare propongono suggestivi lacerti acustici della città d’acqua, «condensatore di suoni», come scrive nel testo finale Lello Voce. Perché «Troverai un bosco / se rovesci Venezia / suono di quercia». Murray Schafer, dalle nuvole, sorride e apprezza.