Visioni

Venezia, Tadzio e l’invitata perfetta

Venezia, Tadzio e l’invitata perfettaBjörn Andrésen e Dirk Bogarde in «Morte a Venezia» di Luchino Visconti, 1971

FemmineFolli Il lido nell’immaginario collettivo porta a galla la malinconia dello sguardo del protagonista del film di Visconti tratto dal capolavoro di Mann, «Morte a Venezia»

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 13 settembre 2017

Il lido di Venezia nell’immaginario collettivo porta a galla la malinconia dello sguardo di Tadzio in Morte a Venezia (Luchino Visconti, 1971, tratto da Thomas Mann, 1912, interpretato da Björn Andrésen): luce bianca velata su viso diafano di ragazzino dalla bellezza neoclassica in mezzo a una epidemia di colera. Ogni anno questo pensiero, quelle immagini, sotterraneamente si affacciano dentro di me prima di essere respinte giù, nel dimenticatoio, con la violenza tipica di chi si sente colpevole di qualcosa.

Quest’anno, al contrario, vigeva un clima leggero nonostante i controlli continui nelle borse col metaldetector passando da un’area a un’altra: condiscendenza reciproca tra pubblico e uomini della security (tranne rari casi), sorrisi, frasi di circostanza addolcite da battute mai offensive, una velata voglia di trasgredire, di far entrare in sala un coltellino svizzero di nascosto, giusto per beffarsi della maestra che si è ostinata di metterci in castigo. Il mio coinquilino giovane (che si aggiunge gli anni, da ventuno a ventidue) si è invaghito di una ragazza del servizio d’ordine: dice che la mattina gli vidima il badge con uno sguardo speciale, più gentile della formalità, è chiaro che lo ricambia. Gli suggeriamo di presentarsi per un giorno intero a tutte le proiezioni del suo turno e poi proporle di uscire, ma il ragazzo è troppo timido e si limita ad amarla a distanza fino all’ultimo giorno.

Ogni anno capita di avere una istintiva corrispondenza cinematografica di sensi con sconosciuti (o pressoché tali) e vedere tutti i film (o quasi) insieme. Avere la propria fila di riferimento, i posti laterali ma centrali (nel caso si volesse uscire: mai fatto) o quelli con le gambe libere, per allungarle durante la durata della proiezione. Non è detto che si abbiano gli stessi gusti ma, in qualche modo per il solo fatto di assistere insieme allo spettacolo, ci si ammorbidisce allineandosi verso una posizione comune di rispetto per il lavoro di cast e crew. Uno dei primi giorni vedo L’insulte, film libanese. All’inizio appare sullo schermo uno dei due protagonisti, quello arrogante: è il sosia di un mio amico di vicino Novara che vive a Roma, attore anche lui. Compio il gesto vietatissimo che prima di ogni proiezione la voce registrata sconsiglia fortemente di fare («any kind of audio or video recording is strictly forbidden»): scatto qualche foto del primo piano del tipo sullo schermo. Voglio mandarle al mio amico, a cui verranno i capelli dritti.

Qualche giorno dopo vedo un film israeliano, The cousin. Mi piace, la storia mi acchiappa fino a quando appare un comprimario brizzolato, alto, belloccio: tale e quale a un altro amico del nord trasferitosi a Roma, amico del primo, attore da anni di una soap in voga alla tv. Stavolta mi astengo dal trasgredire le regole. La sera incontro il sosia fuori da un ristorante a fumare: faccio lo scambio di foto tra i due, l’attore israeliano (più affascinante dal vivo che su pellicola) resta a bocca aperta per la somiglianza e mi chiede l’amicizia su Facebook. Sono fisionomista, forse avrei dovuto fare la casting. Abbandono il lido con la malinconia di Tadzio, forse per via delle nuvole settembrine, speriamo non contagiata dal colera e con un amico virtuale in più…

p.s. Non sono stata invitata a nessuna festa, tranne una a cui sono andata: ho fatto il mio dovere mondano di ballerina, ho chiacchierato, espresso pareri a vanvera, sorriso a tutti. Com’è d’uopo. Sono l’invitata perfetta: ho già aperto le prenotazioni per l’anno prossimo.

fabianasargentini@gmail.com

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