Cultura

Venezia, l’«industria della nostalgia» e un vuoto da riabitare

Venezia, l’«industria della nostalgia» e un vuoto da riabitarePonte del Diavolo (Venezia), foto di Didier Descouens

SCAFFALE «Per una critica dell'economia turistica», di Giacomo Salerno per Quodlibet

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 14 luglio 2020

Il turismo è una pratica talmente diffusa da apparire come un fatto naturale, scontato e poco interessante – nonostante costituisca oggi un settore portante dell’economia globale. È vero il contrario: indagare il fenomeno del turismo consente di cogliere, riflessa e rovesciata, l’immagine del mondo contemporaneo, e in essa la condizione dell’uomo-moderno-in-generale. Riprendendo questa intuizione, in Per una critica dell’economia turistica, Venezia tra museificazione e mercificazione (Quodlibet, pp. 250, euro 20), Giacomo Salerno costruisce un denso percorso di critica del turismo, maturato nell’arco di tre anni, articolato in tre sezioni-scenari: globale, urbano, lagunare. A partire da diverse prospettive disciplinari, Salerno mescola con cura tracce filosofiche, sociologiche, economiche, costruendo una sintesi originale delle teorizzazioni finora prodotte; sulla scorta delle riflessioni sulla trasformazione della struttura dell’esperienza, il turismo è una «industria della nostalgia»: il tentativo mercificato di recuperare ciò che è stato perduto con il passaggio alla modernità, ovvero l’esperienza tradizionale, intesa come costruzione di senso, secondo la diagnosi di Benjamin.

L’OGGETTO DEL DESIDERIO turistico è dunque la possibilità stessa di esperire, di avere un contatto, un’esperienza autentica, di sé e del mondo. Qualcosa che un tempo spettava alla sfera del sacro, e che oggi è prerogativa del viaggio, della vacanza, della sfera del mercato. Su questa ricerca l’industria turistica cresce e fa profitti, condannando il turista a una condizione di alienazione, che va letta nel contesto della trasformazione dell’economia e dei processi produttivi del capitalismo industriale. Così come l’esperienza viene «mercificata e venduta come pacchetto turistico» la città diventa «la costruzione postmoderna di un paradiso perduto», palcoscenico per il «rito secolarizzato del consumo», resto storico museificato e patrimonializzato, privato del suo valore d’uso.

SE LA MODERNITÀ ha traghettato l’uomo «dal mondo del destino all’universo della scelta», con le rivoluzioni della mobilità prima e delle tecnologie poi «il mondo è diventato ormai virtualmente disponibile nella sua totalità», al prezzo però della perdita di uno spazio identitario e comunitario tipico della città preindustriale: una dissociazione che produce sradicamento. Così, ancora, «al centro delle strategie commerciali degli operatori turistici è spesso posta proprio la particolare esperienza urbana che è stata dapprima negata per essere poi ricodificata in forma di merce».

NESSUN MORALISMO dunque se si considera il turista come un ingranaggio di un processo di espropriazione, di un’economia delle esperienze, che sfrutta nostalgia e alienazione e che fa del centro storico, il rovescio della periferia, luogo e merce di consumo, il simulacro della vita urbana da «tutelare» e «valorizzare» Un discorso dietro cui si cela «la materialità di un processo reale» che fa delle città risorse di un’economia estrattiva – una «forma contemporanea di colonialismo interno». Nella città turistica per eccellenza, Venezia, Salerno ripercorre le tappe di una storia particolare che è anche quella di molte città contemporanee: strategie di gentrification e turistificazione che sono il frutto di precise scelte politiche, come quella che ha consentito, alla fine degli anni Novanta, un aumento della capacità ricettiva del 30% in tre anni. La pressione turistica, aumentata poi con Airbnb e con il turismo crocieristico, non è insomma piovuta dal cielo. Né si può ridurre a mero fatto numerico.

SI TRATTA di un vero e proprio saccheggio della città, «contesa tra i due modelli affini del parco tematico e del museo, in ogni caso ostaggio di chi dalle sue pietre e dalla sua immagine è in grado di estrarre un valore che non ha prodotto ma che ha espropriato ai suoi abitanti». Una città nuova non può che emergere dai movimenti che in nome del diritto alla città oppongono una resistenza alla privatizzazione e allo sfruttamento di Venezia, e di tutte le città desertificate e ridotte a merce, di cui il tempo della pandemia ha svelato il grande vuoto, ma anche la possibilità di essere riabitate.

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