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Venezia 80, incontri onirici personalizzati

Venezia 80, incontri onirici personalizzati

Venezia 80 Torna nell’isola del Lazzaretto Vecchio anche quest’anno, dal 31 agosto al 9 settembre, la sezione immersiva della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica.

Pubblicato circa un anno faEdizione del 26 agosto 2023

Se negli anni dell’emergenza pandemica anche l’isola si era trasformata in un progetto visitabile virtualmente, facendo prefigurare una radicale conversione alla pura mediazione tecnologica, la riconferma del luogo fisico nella Laguna, dove nel 2017 tutto ebbe inizio, indirizza il progetto Venice Immersive verso una maggiore integrazione tra contenuti digitali e mondo fisico. La comunità diffusa di pubblici che attendono uno degli appuntamenti annuali più importanti per l’arte immersiva, dunque, si ritroverà nuovamente in quella terra di mezzo che l’isola rappresenta nel migliore dei modi, equipaggiata a dovere della tecnologia necessaria per fare esperienze condivise come il più classico dei festival insegna.
Cosa troveremo nel distaccamento di Venice Immersive è, come ogni anno, un mistero fino all’ultimo giorno di agosto, essendo esso stesso uno dei banchi di prova ufficiali con cui si misurano le tendenze dell’industria e le novità tecnologiche, le sperimentazioni dei collettivi artistici e i guizzi creativi prodotti da sperimentazioni pionieristiche.

Quarantatré progetti, divisi come di consueto tra il Concorso, il Fuori Concorso e i risultati provenienti dalla Biennale Collage e dal workshop internazionale delle edizioni precedenti. Accanto a questi, la galleria di ambienti virtuali che ormai da qualche edizione presenta progetti immersivi creati da artisti indipendenti.

Oltre alla presenza scontata di Canada e Stati Uniti e a una forte selezione di progetti dalla Corea del Sud, dal Giappone, dalla Germania e dai Paesi Bassi, nuovi produttori come la Palestina saranno presenti in concorso. In totale il Lazzaretto ospiterà una geografia di venticinque provenienze.
Come il programma di quest’anno sembra annunciare, il côté della cosiddetta realtà mista (Mixed Reality) – che prevede la permanenza dell’ambiente fisico durante l’esperienza virtuale – non riguarda solo la location ospite del festival: progetti come Gargoyle Doyle (Ethan Shaftel e Jim Henson) e The Storyteller: The Seven Ravens (Felix & Paul Studios), portano questo nuovo formato sperimentale all’interno del Concorso. Se in questi progetti è il legame con il luogo fisico a essere importante, il fatto cioè che il viaggio virtuale sia radicato all’ambiente in cui il visitatore si trova fisicamente, l’intelligenza artificiale – altra novità di questa edizione – ci pone piuttosto difronte al problema della temporalità.

Presentata per la prima volta nell’intreccio con la realtà virtuale dal progetto Tulpamancer (Marc Da Costa e Matthew Niederhauser), questa tecnologia è impiegata per produrre esperienze personalizzate, elaborate in tempo reale. Tulpamancer costruisce un incontro onirico e immersivo attraverso i ricordi dei partecipanti elaborati dalla AI. Dopo un’intervista iniziale alla console di un computer, le informazioni vengono infatti codificate in tempo reale e trasformate in un’esperienza di realtà virtuale, guidata da una voce fuori campo. Ne risulta un viaggio intimo, il cui contenuto è legato al soggetto in modo irripetibile – sebbene certamente basato su uno schema precodificato – che per la prima volta è frutto della collaborazione tra spettatore, realtà virtuale e tecnologia machine learning.

Anche i formati e modelli più esplorati dall’industria, però, sembrano aprirsi a nuovi orizzonti. Vedremo infatti come nel videogioco la risoluzione dell’enigma, classico obiettivo da perseguire, ceda spazio a una maggiore complessità della struttura narrativa, alle sue nuance e alla sua dimensione affettiva, provando a stimolare un pubblico maggiore e più diversificato. Esempio di questa idea espansa di gaming è Another Fisherman’s Tale (Alexis Moroz, Balthazar Auxietre), sequel del progetto presentato dallo stesso studio francese a Venezia nel 2019. Gli autori lo definiscono un «puzzle game d’avventura», espressione che indica proprio la varietà degli ambienti e dei modelli da esplorare e a cui la realtà virtuale, ovviamente, aggiunge il coinvolgimento del corpo.

Proprio la sensibilità corporea, l’embodiment si direbbe, è uno degli elementi su cui da sempre si sperimenta la specificità mediale della realtà virtuale e su cui c’è solitamente un maggior investimento politico tanto nel racconto quanto nelle configurazioni degli ambienti in cui si è immersi. Come di consueto, infatti, anche quest’anno vedremo diversi progetti che insistono proprio sulla potenzialità espressiva dei corpi. Di particolare interesse sembra Body of Mine di Cameron Kostopoulos, già Premio Speciale della Giuria al South by Southwest Festival. Si tratta di un progetto indipendente a bassissimo budget che, a partire da interviste a soggettività trans, propone una discussione legata alla disforia di genere e al tema dell’identità transgender, con l’obiettivo non solo di sfruttare il medium e la sua potenzialità visiva metaforica, ma anche di proporne il potenziale trasformativo per organizzare in futuro luoghi di confronto sicuri per le comunità LGBTQIA+.

Notevoli somme sono invece alla base delle grandi produzioni cinematografiche che continuano a sperimentare attraverso progetti di realtà estesa. È questo il caso di Aufwind di Florian Siebert, progetto che utilizza la tecnologia di acquisizione volumetrica per restituire i panorami e il paesaggio sonoro attraverso cui raccontare la vita di Charlotte Möhring e Melli Beese, le prime due donne tedesche ad affermarsi nel dominio maschile dell’aviazione, ottenendo la licenza di pilota.

Ma l’obiettivo di Venezia Immersive, portato avanti dal lavoro curatoriale di Liz Rosenthal e Michel Reilhac, non è solo quello di mostrare il panorama artistico internazionale più avanzato.
Il loro grande sforzo è anche legato alla ricerca di espressioni creative che si manifestano sul web e soprattutto nel mondo di VR Chat, una piattaforma che consente agli utenti di interagire tramite avatar attraverso mondi 3D creati da loro stessi, eccedendo le classiche logiche produttive. È in questa prospettiva, in un metaverso che è già, che alcune delle forme collaborative più eccitanti originano mondi virtuali di grande qualità espressiva, fotografica, narrativa e via dicendo.

Su questo fronte, esplorato anche nei tavoli di discussione che accompagneranno le giornate, Venezia Immersive inaugura già l’anno a venire, suggerendo di monitorare non solo il rapporto tra arte e tecnologia e il modo in cui tale intreccio osserva e descrive il mondo, ma soprattutto le radicali trasformazioni innervate nello spazio sociale delle comunità raccolte intorno a piattaforme virtuali.

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