Italia

«Vendere armamenti, grande opportunità del Made in Italy»

Salone dei sistemi d'arma a Doha M5S e «Confindustria delle armi» d'accordo. E ora la legge 185 è a rischio

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 3 marzo 2019

Vendere bombe stermina-bambini non dispiace più tanto agli esponenti M5S del «governo del cambiamento». Dopo le dichiarazioni del sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo (M5S) al salone internazionale dei sistemi d’arma appena concluso ad Abu Dhabi – «una grande opportunità per sostenere le eccellenze del made in Italy…si può pensare a organizzare una grande fiera dell’industria della Difesa magari a Milano» – anche questa tessera si può aggiungere col cemento alla ricomposizione del mosaico dei seguaci di Grillo.

E c’è di peggio: un gioco subdolo per aggredire l’unico vero strumento di controllo sui traffici di armi, la legge 185 conquistata nel 1990 sull’onda più alta del movimento per la pace, quando oltre a manifestazioni oceaniche per arrestare la corsa al riarmo c’erano persino le suore a incatenarsi davanti al Parlamento. È questo quel che è emerso venerdì mattina a Montecitorio, al convegno delle associazioni pacifiste con il contributo anche della Conferenza episcopale.

Ospiti d’eccezione alla tavola rotonda «Produzione e esportazione di armamenti, quali responsabilità?», Guido Crosetto, presidente dell’Associazione delle imprese aerospaziali, della difesa e della sicurezza – la «Confindustria delle armi» -e per altro fondatore con Giorgia Meloni e coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia – e il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano (M5S). La “lezione” di Di Stefano al panel è stata tutta improntata a «sfatare l’ipocrisia e la doppia morale» di chi ricordava la corsa al riarmo come una «follia».

Il suo invito è accettare la logica «oggettiva» dei «rapporti di forza» nelle «prove muscolari», ma soprattutto «dei punti di Pil che non si devono perdere perché se no non ci sono più le entrate per piani sociali e reddito di cittadinanza»: insomma bisogna vincere la concorrenza spietata delle industrie europee, e ora anche extra europee, nell’accaparrarsi fette di mercato. «La Germania – ha sbottato il sottosegretario – sta facendo solo finta di bloccare l’export di armi Rwm verso l’Arabia Saudita e la guerra in Yemen perché il blocco è di sei mesi ma la fornitura è ventennale».

Discorso non dissimile, quello di Crosetto, per il quale «ci siamo dovuti assumere anche le esportazioni della Germania», sottinteso con la fabbrica sarda Rwm. E qui sale la nebbia andando a toccare il tentativo di riforma della legge 185. Il disegno di legge è stato presentato un paio di settimane fa al Senato da un altro 5S, Gianluca Ferrara, sincero pacifista impegnato nell’editoria «spirituale» e, per migliorare la legge, aggiungendo la possibilità di bloccare le forniture già autorizzate di fronte all’esplodere di conflitti nei paesi destinatari, com’è per lo Yemen, e dotandola di un fondo di alcuni miliardi per la riconversione in tecnologie civili e dual use.

Ma Crosetto ha chiarito il nodo che interessa: quello di «riportare i controlli in capo alla politica, cioè ad un comitato interministeriale», quindi al governo, in sostituzione all’attuale verifica «in tempi lunghi e burocratici» che spettano solo «ad un funzionario». Così ha chiamato il direttore dell’Autorità nazionale che rilascia le autorizzazioni all’export di armi (Uama), Francesco Azzarello. Non solo Di Stefano e Crosetto, anche la ministra della Difesa Elisabetta Trenta nel messaggio al convegno si è detta favorevole alla riforma Ferrara. Crosetto per altro è favorevole anche a modificare la Costituzione per inserirvi i 17 obiettivi – o “goals” – dell’Onu dell’agenda 2030. Peccato che non se ne senta il bisogno: i “goals” sono già vincolati per tutti i Paesi Onu e per migliorare la 185 basta un decreto attuativo senza modificare l’impianto della legge italiana all’avanguardia nel mondo.

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