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Velimir Chlebnikov, atlante grottesco di un ascetico giocoliere verbale

Chaim Soutine, «Paesaggio», 1920Chaim Soutine, «Paesaggio», 1920

Poeti russi Il mondo di Angelo Maria Ripellino si incontra con quello di Velimir Chlebnikov, a mezza via tra fluviale immaginazione e incantamento per la parola: a quasi 60 anni dalla prima uscita nuova prefazione di Alessandro Niero, «Poesie », da Einaudi

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 14 luglio 2024

Diversamente da quanto avvenuto nel caso di Pasternak e di Blok – acclimatati in Italia con una premura critica spiccata, ma certo non paragonabile – l’ingresso nel panorama culturale nostrano della figura di Velimir Chlebnikov ebbe luogo nel 1968 con una pubblicazione che mise subito e inequivocabilmente il fuoco sul suo traduttore/curatore, Angelo Maria Ripellino. Viene ora riproposta, a distanza di quasi sei decenni, ripartita in due volumi: Velimir Chlebnikov, Poesie (traduzione, saggio e commento di Angelo Maria Ripellino, nuova edizione a cura di Alessandro Niero e Riccardo Mini, Einaudi, € 28,00, pp. CLXVIII+479).

Rutilanti invenzioni
Il trittico in cui Ripellino aveva modellato il suo manufatto (una nutrita scelta di poesie, l’introduzione dal titolo Tentativo di esplorazione del continente Chlébnikov, e le finali Congetture sui testi, disposte a mo’ di note) si arricchisce oggi di una quarta dimensione: la corposa prefazione con cui Alessandro Niero invita a una rilettura del fenomeno «Chlebnikov di Ripellino» ricollocandolo nella traiettoria personale dello studioso e nella cornice del suo tempo, e offrendo una meticolosa, avvincente ricognizione dell’impatto sulla stampa di allora, redatta con un piglio che sconfina a tratti in una vera e propria storia della fortuna italiana del poeta, almeno nel suo primo troncone (mi preme ricordare in proposito il pionieristico, appassionato contributo di una delle più care allieve di Ripellino, Carla Solivetti).

In fondo al suo pezzo, titolato Materiali per un dossier Chlebnikov-Ripellino (che trova completamento nella puntualissima nota bio-bibliografica e redazionale firmata da Riccardo Mini), Niero interroga le versioni ripelliniane in cerca di una «poetica della traduzione», tentando di intercettare la ratio che sta dietro alle scelte di una trasposizione capace di reggere magnificamente al tempo e di brillare di una cangiante luce propria.

Proprio l’inserimento del testo russo a fronte, caposaldo dell’intera operazione di ripubblicazione, ci permette di cogliere ogni angolo di quel bizzarro, sontuoso «continente», straripante di invenzioni a quattro mani, che è il Chlebnikov di Ripellino: la resa dei testi – accurata, oculata quanto rutilante reinvenzione vera e propria, in cui lo studioso dà fondo alle sue illimitate risorse linguistiche, attingendo a un repertorio che va da Iacopone da Todi al Nietzsche di Zarathustra – comprova (se ancora ce ne fosse bisogno) l’imprescindibilità della simbiosi tra saggista e traduttore.

Questa quarta facciata messa a punto da Niero si sovrappone infatti a un insieme compatto, un tutt’uno di trovate che migrano dal versante traduttivo a quello critico e viceversa, in un andirivieni che diventa immersione davvero totale e appagante nel mondo di Chlebnikov, in tutto «l’atlante grottesco» di questo ascetico e istrionico «archimandrita dei cubofuturisti», donchisciottesco sciamano ritrovatosi a capo della fantomatica associazione dei Presidenti del Globo Terrestre, randagio «giocoliere verbale» dall’innocenza ombrosa. È un mondo, il suo, in cui ogni convenzione è infranta e ci ritroviamo a oscillare continuamente fra età della pietra e grattacieli, tra apocalissi da capogiro e divinazioni del futuro, in un magma scheggiato da mille «metafore abusive» («l’universo come bibliogonìa» su tutte) il cui tratto più manifesto è l’instabilità.

Ripellino ci presenta il poeta-derviscio in tutta la sua grezza, attonita grandezza, nelle contraddizioni tra la frugalità della sua esistenza e la lussureggiante proliferazione delle sue visioni poetiche. E quanto più si addentra nel «reame di Chlebnikov», tanto più lo affatturano il suo senso del primordiale e del pagano, l’asiatismo e la contiguità con la ricerca artistica del suo tempo (da Kandinskij a Tatlin, da Filonov a Pirosmani), la fratellanza ideale col primo Majakovskij. Procedendo lungo spirali associative che assecondano la vastità degli sconfinamenti del suo autore (nei territori della matematica, della pittura, della filosofia, della storia), ne ricompone i frastagliati orizzonti, ci ragguaglia sulle traversie biografiche, sulle «falotiche», «lunatiche architetture» delle sue «città del futuro», ne racconta le cupezze e il candore.
Da questa «esplorazione», Ripellino torna carico di un bottino inestimabile, perché quel pellegrinaggio è anche un attraversamento mozzafiato lungo le mille stanze in cui si incamera l’erudizione spigliata e sorniona, intimamente partecipe e di ogni cosa curiosa, di uno studioso a tutto campo di cose slave e profondo conoscitore di molte letterature europee occidentali.

Una raccolta di inezie randagie
Il mondo di Chlebnikov e quello di Ripellino si incontrano così a mezza via tra fluviale, debordante immaginazione e genuino incantamento per la parola, e la destrezza con cui Chlebnikov «muove e accavalla trasmutazioni» trova degna eco in quella del suo curatore/coautore. Preziosa risulta allora la riproposizione di un lavoro che conserva tutto lo smalto della prima uscita, quando fu accolto da ovazioni pressoché unanimi.

In un punto apparentemente casuale delle Congetture sui testi, oltrepassata la metà di quel suo conglomerato di annotazioni, Ripellino registra con nonchalance: «Molte cose espulse dall’introduzione, minuscole, insignificanti e senza famiglia, molte inezie randagie sono venute a raccogliersi in questa selva di chiose, o piuttosto ’cabinet de curiosités’». Inutile dire che a risfogliare oggi quelle note prodigalmente elargite riscopriamo una inesauribile, intatta miniera di suggestioni ancora incredibilmente fruttuose.

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