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Vavilov, gigante verde

Storie L’agronomo russo Nikolaj Vavilov percorse il mondo per catalogare le piante coltivate. Oggi l’istituto che porta il suo nome ne conserva 320 mila diverse varietà

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 31 gennaio 2019

E’ vissuto a cavallo tra due secoli, da protagonista ed eroe assoluto.

Nikolaj Vavilov per le piante coltivate è stato quello che Charles Darwin ha rappresentato per lo studio del concetto di evoluzione delle specie animali.
Figlio di un contadino appena liberato dalla servitù della gleba, si è appassionato di agricoltura e non ha mai smesso di cercare, approfondire, indagare sull’areale originario delle piante coltivate alla sua epoca, tempo nel quale non esistevano né Ogm e nemmeno ibridi F1 ed F2 e prima di quella rovinosa calamità che passò sotto il nome di «rivoluzione verde» e che fu soltanto la sottomissione dell’agricoltura alle ragioni della chimica e dell’industria.

La passione mette le ali ai piedi e se non ci si accontenta della vulgata sulle origini delle specie che circola per buona, esattamente come fece Darwin sul suo veliero Beagle, Nikolaj Vavilov, una volta compiuti i suoi studi di agronomia in patria ed approfondite le sue conoscenze di genetica in Gran Bretagna, si diede a percorrere in lungo e in largo il mondo. Furono una ventina d’anni frenetici, attraversò il suo paese, la Russia, l’Asia centrale, l’Europa, l’America Latina, l’Africa e gli Stati Uniti. Si diceva che la mezzaluna fertile fosse l’areale d’origine delle principali specie di cereali coltivate. Vavilov dimostrò che non era vero.

E’ sui contrafforti del Pamir, nelle valli dell’Afghanistan, sugli altopiani più sperduti che, giovandosi del suo bagaglio di genetista, scoprì l’origine vera del grano, dell’orzo, della segale. Applicò con cura il suo metodo e raccolse non solamente campioni, ovvero sementi, delle specie che studiava, raccolse le loro varietà locali, ne ascoltò le storie dai contadini e fu il vero pioniere dell’etnobotanica, ovvero di quella scienza che studia le relazioni anche culturali tra un popolo e le piante che coltiva. Il frutto prezioso che tuttora è ben conservato di quel suo instancabile viaggiare e ricercare fu, rientrato in patria, passo dopo passo, la fondazione dell’Istituto Pansovietico delle piante coltivate, in quella San Pietroburgo, poi Leningrado, che adesso porta il suo nome. Nel caos della rivoluzione russa, nel pieno della guerra civile, Vavilov riuscì a riunire il meglio dei genetisti e in quella sede prestigiosa, a due passi dalla cattedrale di Sant’Isacco, fece rivivere un rinascimento, anzi, fu proprio il precursore della nuova genetica moderna, «nuova Babilonia» fu chiamata, in stretto contatto con il meglio degli studiosi di tutto il mondo. Vavilov sopravvisse alle purghe staliniane. Sopravvisse ed operò sin quando l’ottusità di Stalin, seguace di Lysenko, un genetista del quale , oggi, si deve ricordare ben poco, lo condannò a morte per spionaggio a favore dell’Inghilterra, scusa ufficiale, in realtà il regime si schierava con le teorie del Lysenko e non capendo nulla dell’immenso lavoro portato avanti da Vavilov, finì per rinchiuderlo in un gulag a Saratov dove, commutata la pena, finì per morire, lui che aveva intuito essere la scarsità e l’erosione genetica il pericolo mortale per la disponibilità di cibo per l’umanità. Durante i novecento giorni dell’assedio nazista di Leningrado, tredici impiegati dell’Istituto che dal 1967, anno della completa riabilitazione, porta il suo nome, preferirono perire, per fame, anch’essi, piuttosto che intaccare un patrimonio genetico composto da sementi scrupolosamente catalogate e raccolte. Questa storia, paradossale e tragica insieme, di abbondanza e di fame, è raccontata volentieri ai visitatori dell’Istituto Vavilov. E’ stata la prima riserva di germoplasma al mondo, oggi conserva 320.000 varietà di piante coltivate (solamente di varietà d’orzo ve ne sono 20.000, 15.000 d’avena e 4.000 di segale). Vi lavorano settecento tra impiegati e ricercatori, strettamente in collegamento con dodici stazioni sperimentali diffusi in tutta la Russia, la maggior parte delle quali dislocate nel Caucaso. Nell’Istituto si procede alla digitalizzazione dell’opera già immensa conservata, si scambiano sementi con istituzioni analoghe in tutto il mondo e si procede alla verifica, per campione, alle prove di germinabilità. L’importanza dell’esistenza di questo istituto è enorme. Qui, provenienti dalla Francia, dall’Austria, sono state ritrovate e riprodotte specie antiche e ritenute perdute di ortaggi e di cereali, poi rimessi in circolazione.

Studiosi e ricercatori possono accedere alla gigantesca bibliografia in materia di agricoltura, botanica e genetica ammontante a 2 milioni di volumi e si possono consultare favolosi erbari. La Russia attuale, pur nella relativa scarsità di risorse, destina decine di milioni di rubli all’Istituto, la valorizzazione e il riconoscimento dell’opera di Vavilov è stata completa. Ad Expo 2015, il padiglione russo destinò un’ala intera dove si illustravano i campioni di cereali, ortaggi e frutta indagati e scoperti da Vavilov. Oggi, con i mutamenti climatici in atto, la vera e propria erosione genetica che il trionfo dell’agrochimica ha comportato ha ridotto drasticamente il numero delle piante coltivate: se agli inizi del ’900 si conoscevano 12.000 varietà di riso coltivate, adesso se ne contano solo 300. Se pensiamo che esistevano e Vavilov le aveva trovate e censite – varietà capaci di vivere nelle steppe fredde o al limitare dei deserti – si capisce come il mantenimento della biodiversità sia la soluzione più naturale per affrontare le sfide che il presente richiede, e non la pretesa di una certa scienza di produrre varietà Ogm resistenti, per esempio al freddo o alla siccità. Non è possibile creare in laboratorio, al prezzo del monopolio e dell’asservimento legato dal costo crescente , ciò che in natura esiste già.

Nikolaj Vavilov ha speso tutta la sua vita percorrendo il mondo e lasciando la sua opera, L’origine delle piante coltivate (edito da Pentagora) nella quale sfata i miti precostituiti e dimostra la vera origine delle piante. Il direttore attuale, Nikolaj Dzjubenko, si dice certo che la sua opera è più che mai viva. Nella più piccola sala, in ogni parte dei laboratori, l’affetto per il fondatore è manifestato dalle immagini di questo studioso, l’Istituto Nikolaj Vavilov prosegue la sua opera e la arricchisce alla luce delle nuove scoperte. Il vero artefice della fame nel mondo è l’ignoranza del fatto che sta nella biodiversità la risorsa per uscire dagli sconvolgimenti climatici. Lottare contro l’erosione genetica e conservare il patrimonio messo insieme in questo secolo di lavoro, è la missione dell’Istituto. Nikolaj è là a ricordarlo, in quelle sale, in quei ritratti, dietro i suoi grandi baffi.

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