Internazionale

Vaticano, primo processo (con condanna) per pedopornografia

Vaticano, primo processo (con condanna) per pedopornografia

Giustizia Condannato a cinque anni di reclusione da un tribunale della Santa Sede, monsignor Carlo Alberto Capella, consigliere presso la nunziatura apostolica di Washington

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 24 giugno 2018

È stato condannato dal Tribunale del Vaticano a cinque anni di reclusione per «divulgazione, trasmissione, offerta e detenzione» di materiale pedopornografico, monsignor Carlo Alberto Capella, consigliere presso la nunziatura apostolica di Washington, l’ambasciata vaticana negli Stati Uniti.

La sentenza è arrivata ieri, dopo un processo lampo durante il quale il prelato, pur giustificando la sua condotta con un fase di profonda «crisi interiore» causata dal suo trasferimento da Roma a Washington, ha ammesso le proprie responsabilità.

Cinquanta anni, prete dal 1993, dopo il servizio in alcune parrocchie milanesi, Capella entra nella diplomazia vaticana. Lavora in India, ad Hong Kong, poi viene richiamato a Roma, alla Segreteria di Stato, fino al trasferimento alla nunziatura di Washington, nel 2016. Qui, a causa di quello che il prelato definisce un «profondo senso di vuoto», inizia a frequentare piattaforme online e social network di condivisione di immagini e video. Viene individuato dalle polizie di Canada (durante un trasferta in Ontario) e Stati Uniti, e il Dipartimento di Stato Usa notifica al Vaticano la violazione delle norme in materia di immagini pedopornografiche da parte del diplomatico.

La Santa sede, prima che Oltreoceano venga emesso un ordine di cattura, lo richiama in Vaticano, dove viene arrestato lo scorso 7 aprile. Sui telefoni, i pc e gli hard disk di Capella vengono trovate oltre 50 immagini e filmati di bambini ed adolescenti in atti sessuali espliciti. Quanto basta per rinviarlo a giudizio.

L’accusa chiede 5 anni e 9 mesi, il massimo della pena. La difesa tenta di ridimensionare l’entità e la gravità dei reati, appellandosi alle problematiche di natura psicologica del diplomatico e al fatto che una cinquantina di immagini e video in fondo non sono poi così tante da determinare un aumento di pena. Ma il tribunale condanna Capella a cinque anni, valutando anche la «continuazione» del reato e «l’ingente materiale» detenuto e divulgato.

Ora il prelato potrà fare appello al tribunale di secondo grado, ma non è detto che ciò avverrà, vista l’evidenza delle prove a suo carico. Parallelamente partirà il processo canonico presso la Congregazione della dottrina della fede (l’ex Sant’Uffizio), che potrebbe concludersi anche con la dimissione dalla stato clericale del diplomatico.

Capella è attualmente recluso in una cella della gendarmeria vaticana, ma è improbabile che vi possa trascorrere i cinque anni a cui è stato condannato. È la prima volta che in un tribunale vaticano si svolge un processo per pedopornografia, un reato peraltro prima non presente e introdotto nel codice penale da papa Francesco nel luglio 2013. Si può ipotizzare che il richiamo in Vaticano di Capella e il processo entro le mura leonine sia stato un modo per sottrarlo alla giustizia statunitense e canadese, ma è anche vero che il processo “in casa” è tipico della prassi diplomatica fra gli Stati, compresi quelli laici.

Sempre sul fronte pedofilia ecclesiastica e sempre dagli Usa, l’altro ieri è arrivata la notizia che papa Francesco ha sospeso dal ministero sacerdotale pubblico il cardinale Theodore McCarrick, 88 anni, arcivescovo emerito di Washington, accusato di aver abusato di un adolescente 45 anni fa. E a breve potrebbe arrivare, stavolta dall’Australia, la sentenza del processo in cui il cardinale George Pell – il superministro vaticano dell’economia, per il momento “congelato” – è imputato per pedofilia.

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