Europa

Varoufakis rivisto da via Solferino

Varoufakis rivisto da via SolferinoVaroufakis e Tsipras – Lapresse/Reuters

È sempre istruttivo leggere il Corriere della Sera. Specialmente per chi, come me, non conosce il tedesco, la sua lettura quotidiana è indispensabile per comprendere cosa pensa e soprattutto cosa […]

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 10 marzo 2015

È sempre istruttivo leggere il Corriere della Sera. Specialmente per chi, come me, non conosce il tedesco, la sua lettura quotidiana è indispensabile per comprendere cosa pensa e soprattutto cosa pianifica il governo di Berlino.

Lunedì, per esempio, con un proclama a tutta pagina, il giornale di via Solferino ha definito con grande chiarezza la strategia dell’eurozona verso la Grecia, colpevole «di volere un regime change non solo in Grecia ma anche nel resto d’Europa, cioè l’abbandono delle politiche che 18 membri dell’eurozona su 19 sostengono».

Questa politica di Alexis Tsipras, continua il Corriere, irrita «non solo la Germania ma anche Irlanda, Portogallo e Spagna che gli impegni presi in Europa li hanno rispettati e li stanno rispettando e quei paesi dell’Est europeo che sono più poveri (pro capite) della Grecia e non vorrebbero mettere a rischio il denaro dei loro cittadini su progetti di aiuto non solidi».

Cosa capiamo? Che l’Europa e l’eurozona sono come sono e già l’ipotesi di un cambiamento provoca “irritazione”. Specialmente quando si ha a che fare con Varoufakis, con cui «la chimica non funziona», visto che insiste nelle riunioni «a fare l’economista e non il politico»

In parole povere, non c’è spazio per cambiamenti. O si torna alla vecchia politica di austerità, che ha portato il debito greco allo 176% del Pil, oppure bisogna trovare una maniera o l’altra per cacciare gli “irritanti” indisciplinati.

Infatti lunedì Schäuble non ha perso l’occasione di attaccare duramente Varoufakis durante la breve riunione dell’eurogruppo perché Atene ha osato depositare il progetto di legge per andare incontro alle circa 400 mila famiglie senza alcun reddito, con la gravissima accusa di aver agito in maniera “unilaterale”.

Ecco di nuovo quindi la minaccia del grexit (l’espulsione della Grecia dall’euro).

Tanto più che lo stesso Corriere della Sera domenica è incorso in un infortunio giornalistico non grave ma indicativo della mentalità che ispira l’informazione di via Solferino.

In un’intervista a tutta pagina, a Varoufakis è stata posta la domanda di cosa avrebbe fatto Atene nel caso il suo programma di sviluppo avesse ricevuto risposte negative. Il ministro ha risposto: «Non siamo attaccati alle poltrone. Possiamo tornare alle elezioni. Convocare un referendum». Tanto è bastato al giornalista per interpretare il pensiero del ministro e aggiungere, di suo, tra parentesi: «(sull’euro ndr)».

Ma non era questo che intendeva Varoufakis: come ha specificato egli stesso a intervista pubblicata, l’eventuale referendum avrebbe riguardato le nuove misure di austerità accolte dal precedente governo e tuttora proposte in maniera pressante da Schäuble.

Un referendum sull’euro lo aveva proposto alla fine nel 2011 l’allora premier George Papandreou, prontamente rimpiazzato dal tecnocrate Papademos. Anche ieri, dovendo spiegare di non aver posto la domanda direttamente a Varoufakis, lo stesso giornalista ci informa che comunque «ogni referendum indetto in Grecia come reazione a un no di Bruxelles sarebbe un referendum su euro sì/ euro no».

In altre parole, se l’elettore greco ritiene di rispondere di no alla domanda «volete voi nuovi tagli a pensioni e stipendi», automaticamente si colloca tra i nemici dell’euro, insieme con Salvini e Beppe Grillo.

Che senso ha tutto questo? Nessuno.

E’ pura guerra mediatica, un tentativo di terrorizzare l’opinione pubblica: la via dell’austerità è un dogma immodificabile.

Attenzione però. La minaccia di un’espulsione della Grecia dall’euro è un bluff scoperto. Non solo la tempesta finanziaria travolgerà tutta l’eurozona, Germania compresa, ma la stessa destabilizzazione della Grecia comporta grandissimi rischi: lo ha affermato per primo il ministro degli Esteri Nikos Kotzias e lo ha ripetuto ieri quello della Difesa Panos Kammenos. Il crollo dell’ultimo baluardo europeo (in senso buono) nel Mediterraneo orientale avrà serissime conseguenze sulla stabilità di tutta l’Europa.

Ci pensino bene a Berlino (e anche i loro amici in Italia). Conviene cambiare registro.

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