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Vargo, l’acqua buona è un’impresa storica

Vargo, l’acqua buona è un’impresa storica

Reportage Sugli appennini piemontesi, tra Alessandria e Genova, da cento anni gli abitanti di un piccolo paese autogestiscono un acquedotto rurale esempio di virtù

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 14 luglio 2022

Usciti vivi dalla prima guerra mondiale, gli abitanti di Vargo si misero all’opera. «Mia madre raccontava che il nonno, appena tornato dal fronte, attaccò i buoi per portare giù i tubi», racconta Pier Luigi «Piero» Ponassi, presidente dell’Acquedotto rurale di Vargo. «E dopo tanto lavoro tutti insieme, intorno al 1922 l’acquedotto del paese entra in funzione». Siamo sugli Appennini piemontesi, fra le province di Alessandria e Genova. Vargo, piccolo paese allungato su un crinale e dominato dalla torretta longobarda, è una frazione di Stazzano, dopo essere stato comune autonomo fino al 1928.

IL CENTENARIO ACQUEDOTTO rurale fu pioniere; infatti nei piccoli centri, anche del Nord, l’acqua arrivò in genere molti decenni dopo. Per esempio, si legge nel saggio di Chiara Frugoni Da stelle a stelle. Memorie di un paese contadino, gli abitanti di Solto sul lago d’Iseo ancora nel secondo dopoguerra percorrevano chilometri per attingere alle fonti. Anche a Vargo si andava per pozzi e ruscelli, salvo una fontana per l’acqua da bere vicino al paese. Ma un secolo fa, un ingegnoso baratto consentì di coprire i costi dell’opera, inarrivabili per una comunità rurale. Una famiglia genovese abbiente che si recava là in vacanza aveva chiesto all’amministrazione locale una riserva di caccia. Decisero di concederla, ma in cambio dei materiali necessari a costruire un acquedotto, partendo dalla sorgente fra i boschi.

GRAZIE AL LAVORO COLLETTIVO, «l’acqua arrivò in paese, quattro rubinetti dislocati in punti diversi garantivano l’approvvigionamento a tutta la comunità. Tutto per caduta; pur con gli strumenti di allora, avevano misurato bene la differenza di quota fra sorgente e vasca di accumulo», continua il presidente. La gestione fu comunale. Tra la prima e la seconda guerra mondiale la rete idrica venne ampliata e la vasca di raccolta spostata in un punto indicato sulle carte come la Crocetta. Tutte le famiglie contribuivano con il lavoro e alle spese. Poi via via le tubazioni arrivarono fin dentro le case. E negli anni ’60 vennero introdotti i contatori e ogni utente iniziò a pagare i consumi effettivi.

NEL 1980 NASCE UNA SOCIETÀ SEMPLICE per gestire l’acquedotto. I varghesi trasformano così la precedente gestione consuetudinaria in una struttura più formale (la società semplice, articolo 2251 del codice civile, è la più elementare consentita in Italia), necessaria a stare dietro agli adempimenti burocratici, sempre più aggrovigliati. Nel frattempo la struttura dell’acquedotto si era deteriorata. I soci mettono mano alle migliorie, con l’appoggio finanziario della regione Piemonte per sostituire i tubi a bicchiere con tubi in polietilene, introdurre filtri meccanici, vetrificare le vasche di decantazione. «C’era chi diceva: durerà poco; ma eccoci qua, dopo 40 anni e passa», puntualizza Piero, il cui volontariato idrico inizia molti decenni fa, alle soglie dell’esame di maturità. Da anni, i cento abitanti della frazione di Vargo finanziano tutto da sé, in autonomia.

UN MODELLO DI EFFICIENZA E OSTINAZIONE. Efficienza perché, spiega Piero, «di perdite, ne abbiamo pochissime. Il problema magari viene da qualche tratto un po’ superficiale per via della roccia. Ma è la stessa popolazione a comunicarci se per esempio vede acqua affiorare; il tecnico si precipita. Tutti i giorni poi controlliamo il livello delle vasche. Lasciar andare via l’acqua per niente, non va bene! La pressione certo non è enorme, però ci accontentiamo, perfino quest’anno. Certo, oltre alla sorgente dobbiamo sempre attingere ai due ruscelli, rio della Madonna e rio di Valmarino». Insomma «il segreto è la cura», dicono in coro due degli amministratori, Graziella Sabbione, che si occupa del bilancio, e Giorgio Repetto, che monitora praticamente ogni giorno la struttura, insieme agli altri membri, tutti volontari, del consiglio di amministrazione e ad abitanti volonterosi; e ovviamente con l’intervento professionale di tecnici e ditte: «Visto che la nostra società risponde ai dettami di legge; pur nella semplicità della struttura, le complicazioni non mancano e i costi nemmeno».

IL BILANCIO ANNUALE E’ INTORNO ai 15-20 mila euro. «Non adeguiamo le tariffe da dieci anni e i nostri risparmi via via si riducono…» riferisce Giorgio. Dalla tradizione si è mantenuto un rito: andare a pagare la bolletta alla sede dell’acquedotto. Certo, molti ormai procedono con i bonifici, «ma venti anni fa quando ho iniziato le persone anziane ci aspettavano, era un punto di aggregazione» ricorda Graziella.

VARGO NON È SU UN ALTRO PIANETA: anche lassù la partecipazione della comunità è via via scemata. «In passato, la domenica mattina almeno nella buona stagione quasi sempre si prestava un po’ di lavoro per l’acquedotto. Poi sono subentrati i tecnici esterni remunerati», dicono gli amministratori. Ancora Graziella: «Anche le abitudini sono cambiate; la parsimonia dei consumi che vedevo bassissimi nelle bollette, la raccolta dell’acqua piovana, sono via via sembrati qualcosa del passato. Cerchiamo di coinvolgere di più. Abbiamo anche partecipato al concorso del Fondo ambiente italiano I luoghi del cuore, abbiamo organizzato convegni, anche contro la mercificazione e per le magiche tre R – risparmio, riciclo, riutilizzo–, anche con il sostegno del Movimento acqua pubblica di Torino». E’ lì pronto, «in bozza un libretto con la storia del nostro acquedotto, solo da aggiornare con i dati sugli aspetti biologici e sulla qualità».

GIÀ, LA QUALITÀ: SE VARGO RIFIUTA DI ALLACCIARSI ad altre reti, e presidente e amministratori si assumono faticose responsabilità civili senza guadagnarci proprio nulla («da fuori ci chiedono chi ce lo fa fare…»), è certo in omaggio a una tradizione di ostinata indipendenza, ma anche per via della qualità di quell’acqua sorgiva di alta collina. «Non contiene nitrati né solfati. Naturalmente dobbiamo clorarla, per legge, e il ministero della salute stabilisce la frequenza delle analisi; paghiamo una società di Alessandria perché le esegua», precisa il presidente. Giù a valle, invece, c’è un fiume problematico e i residui dei veleni emessi a lungo da un complesso industriale.

QUALCHE ABITANTE SI OSTINA A COMPRARE l’acqua imprigionata in bottiglia, ma solo perché «è diventata un’abitudine», dicono Giorgio e Graziella. Del resto, anche a scopo di autofinanziamento «abbiamo organizzato fino al 2019 le Feste dell’acqua, compresa la camminata nei boschi fino alla Fontana dei Ladri, dove i bravissimi idraulici che ci seguono mettevano un rubinetto per permettere di bere proprio lì, alla sorgente».

IL PELLEGRINAGGIO ALLE FONTI E’ UN PERCORSO facile. Ci si inoltra nel bosco alla fine del borgo, dopo un buon caffè e un bicchiere d’acqua – del rubinetto ovviamente – offerti da Vittorio, ex ristoratore. La stradina con l’erba in mezzo serpeggia su e giù fra querce, castagni, acacie e noccioli. Prima tappa: il cartello «Acquedotto Rurale di Vargo» indica i due ruscelli che insieme alimentano le case di Vargo, scorrono ancora, malgrado i lunghi mesi senza piogge. Una casetta contiene un serbatoio dentro cui una pompa a immersione alimenta (quando richiesto da una serie di sensori che monitorano costantemente il livello dell’acqua) la vasca di raccolta e distribuzione.

SECONDA TAPPA: OLTRE I RUSCELLI SI ARRIVA alla località Casgnato dove sorse la prima vasca di raccolta. Terza tappa: si arriva alla Fontana Dei Ladri (per via del posto appartato, adatto a incontri lontani dagli occhi degli sbirri) dove c’è – sottoterra, non affiorante – la fonte, madre nutrice dell’acquedotto. Ultima tappa: Località Crocetta dove è situata la vasca di raccolta e dove vengono effettuati i controlli più assidui all’impianto dai volontari come Giorgio che dice «altrimenti, se qualcosa non va in 4 o 5 giorni ti ritrovi la vasca vuota e ai varghesi cosa dici?».

A UN NUOVO ABITANTE SPIEGA: «Sono operazioni semplici ma occorre attenzione. È una responsabilità». Chi glielo fa fare? Forse, anche quei cento anni.

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