Nel campo cinematografico – ma non solo – assistiamo periodicamente a operazioni di riscoperta di personaggi dimenticati o sottovalutati con annesso risarcimento editoriale. Spesso però i volumi pubblicati nella foga di ristabilire un equilibrio, sembrano al contrario sproporzionati e viziati da un partito preso estremo. Non è questo il caso dei Fratelli Vanzina, Carlo ed Enrico, che dopo essere stati oggetto anni fa in convegni e piccoli festival di rivisitazioni e riletture del loro cinema, non avevano ancora avuto l’adeguato supporto critico – tranne saggi sparsi – con un libro interamente dedicato a loro. Ci ha pensato ora la casa editrice Il Foglio di Piombino animata dall’infaticabile Gordiano Lupi che dirige anche la collana «La cineteca di Caino» per la quale è ora uscito il volume «Il cinema dei fratelli Vanzina»(pagg. 494, euro 20). Una monografia ponderosa che non è frutto dell’ansia di recuperare il tempo perduto ma dell’intento di attraversare in lungo e in largo il cinema dei Vanzina che è più complesso e articolato di quanto molti critici schizzinosi hanno voluto far credere per anni. I prolifici Carlo (regista) prematuramente scomparso nel 2018 e Enrico (sceneggiatore), ultimi grandi eredi della commedia (all’)italiana, con gli oltre 60 film realizzati in un arco di poco più di 40 anni, hanno lasciato un segno nella storia del cinema italiano, con commedie di grande successo commerciale (i balneari e i cosiddetti «cinepanettoni» in testa) che hanno quasi partorito un format imitato e citato. Sono tre gli autori che hanno abbracciato questo impegnativo progetto: lo stesso Lupi (all’attivo numerosi libri non solo di cinema), il docente e critico Davide Magnisi e il più giovane Michele Bergantin (una laurea al Dams di Bologna e autore di una monografia su Pupi Avati sempre per Il Foglio).

E hanno sviscerato – dopo la filmografia ragionata e commentata da Gordiano Lupi – tutto il cinema vanziniano con analisi maniacali film per film, la produzione televisiva, saggi critici, curiosità e interviste ad attori e attrici che hanno reso di culto popolare il loro cinema, testimonianze dello stesso Enrico Vanzina e di colleghi registi, produttori, critici e amici come Maurizio Costanzo e Walter Veltroni. Un libro corale fondamentale che fa emergere come il cinema dei Vanzina tra incassi record e critiche sprezzanti, ha partorito una fenomenologia dell’Italia, raccontando 40 anni del nostro Paese, tra tic e manie, mode e corruzione, velleità di ricchezza e una pervasiva volgarità sempre più specchio dei nostri tempi. Saltando da un capitolo all’altro, ci si immerge con piacere nelle tappe di questo lungo percorso, che non è fatto solo di commedie ma anche di pellicole di altri generi come il thriller, l’erotico, il sentimentale, l’avventuroso: «Sapore di mare», «Vacanze di Natale», «Yuppies», «Sotto il vestito niente», «I miei primi quarant’anni», «SPQR», «A spasso nel tempo», «Piccolo grande amore», «Il cielo in una stanza», «Febbre da cavallo», «Il ritorno del Monnezza», «Un ciclone in famiglia», «Non si ruba a casa dei ladri».

Orfano del fratello, Enrico Vanzina però non considera chiuso il ciclo e ora per la seconda volta (dopo «Lockdown all’italiana») firma anche da regista «Tre sorelle», una commedia tutta al femminile (su Prime Video). Non mancano raffinate riflessioni critiche di Magnisi e Bergantin. «Il cinema commerciale dei Vanzina – scrivono i due autori – è stato una macchina da guerra perché ha sempre rispecchiato fenomenologicamente, seppur in forma di cartolina patinata, di vetrina iconografica del tempo, la cronaca politica e di costume di un Paese svuotato dall’edonismo dopo il boom economico, le contestazioni sociali e il terrorismo. Senza giudizi, eclissandosi dietro le loro storie e i loro personaggi, regredendo al livello comune della nazione e del suo popolo, che raccontavano in una fase di divertito e pacchiano abbandono di un passato più impegnato e uno stile di vita più sobrio». Oppure «Sapore di mare e tutti i loro film con lo sguardo al passato sono programmaticamente nostalgici, configurando i Vanzina come ineguagliabili cantori di mezzo secolo d’Italia, con quel loro tocco di sentimentale malinconia che li distingue dagli epigoni seriali. Pur con tutti i loro limiti, hanno fotografato, in alcuni film, passaggi e mode del presente, tanto da essere guardati con nostalgia dagli ex ragazzi di quei decenni e ideato vere e proprie trappole cinematografiche di nostalgia postuma, volutamente artefatta in film come Sapore di mare o le continuazioni di successi del passato».