Vanja Kaludjercic, la scommessa di inventare uno spazio virtuale
Rotterdam 50 Conversazione con la nuova direttrice del festival olandese, un’edizione online tra novità e forme ibride
Rotterdam 50 Conversazione con la nuova direttrice del festival olandese, un’edizione online tra novità e forme ibride
Un anno fa è stato uno degli ultimi festival prima che la pandemia dilagasse fermando tutto il mondo, alla fine di gennaio 2020 però sembrava ancora un evento lontano, sporadico, che sarebbe finito presto. Rotterdam, le sale dei cinema, i caffè, i luoghi dei meeting, le conversazioni tutto era come sempre; forse qualche lanterna rossa in meno nel quartiere cinese della città di mare olandese, uno dei più popolati d’Europa, nessuna festa per il capodanno che di solito riempie le strade e i locali, diversi negozi chiusi, quasi a rafforzare però quell’idea di un problema che riguardava solo un pezzo del pianeta.
Vanja Kaludjercic è stata nominata proprio allora direttrice del festival di Rotterdam con una doppia scommessa davanti a sé: il suo debutto e l’anniversario del primo mezzo secolo di quello che è – e continua a essere seppure attraverso molte trasformazioni – uno degli appuntamenti più attesi dal cinema indipendente, e anche il primo «passaggio obbligato» della nuova stagione cinematografica, laddove industria e festival in testa ricominciano a mettersi in movimento.
COME è andata lo sappiamo, e sappiamo anche che in quella «cesura» che è stata – e continua a essere – la pandemia, la cultura in presenza, le sale di cinema, i teatri, i concerti, i musei, è subito divenuta, e inspiegabilmente, il primo «target»: tutto chiuso, ancora adesso e anche dove come in Italia è quasi tutto aperto, trionfo dello streaming – e della sua solitudine – coi festival anch’essi divenuti virtuali.
Così il 2021 è iniziato online: il Rotterdam Film festival si è infatti trasferito in piattaforma, almeno questa prima parte che si è inaugurata ieri con il film di Anders Thomas Jensen, Riders of Justice – fino al 7 febbraio – mentre una seconda dovrebbe essere in presenza nel mese di giugno (2-6), nel mezzo sono previsti degli eventi, a cominciare dalle mostre sparse anche a Amsterdam con installazioni di autori che nel tempo hanno partecipato al festival, commissionate per il cinquantenario – tra loro Jia Zhangke, Bela Tarr, Reygadas.
Se però i festival dello scorso anno, specie quelli all’inizio, si sono trovati a affrontare una situazione inedita – con molte cancellazioni – ora hanno dovuto imparare a organizzarsi a districarsi tra le molte difficoltà dei diritti – diversi in ogni paese, imposti dalla distribuzione per proteggere i propri film – rafforzando anche la parte Industry – a Rotterdam centrale grazie al Cinemart. Non è lo stesso, evidentemente, mancano l’incontro, il pubblico che per un regista dopo mesi di lavoro è la prima «sfida», mancano le relazioni, viene meno insomma quello spazio pubblico che è parte viva e fondante in questo lavoro.
Vanja Kaludjercic lo sa bene, e lo ripete spesso, ma la soluzione dello streaming era anche obbligata dall’incertezza della pandemia; loro si erano organizzati già molto prima della nuova chiusura in Olanda – un lockdown totale fino al 10 febbraio – pianificando un «festival diverso» dallo scorso marzo.
LA SPERANZA era quella di realizzare una forma ibrida, online i professionisti internazionali e in presenza per il pubblico e gli addetti ai lavori olandesi – un po’ come è riuscito a fare Idfa, il festival a Amsterdam dei documentari lo scorso novembre. E invece? «Il numero di spettatori ammessi in sala continuava a restringersi. Il festival di Rotterdam è un evento che oltre alla città richiama pubblico dall’intera Olanda, c’è chi viene al mattino e riparte la sera, le nostre sale sono enormi, non avrebbe avuto senso fare l’evento in presenza per trenta persone» spiega Kaludjercic.
Croata, cresciuta con la passione per il cinema scoperta molto presto nonostante le difficoltà della guerra – all’«educazione» all’immagine come ha raccontato in una intervista a «Screendaily» molto ha contribuito Fuori orario – Vanja Kaludjercic inizia a lavorare al festival di Pola come volontaria da ragazzina, poi è nel gruppo degli organizzatori del festival di Motovun, nel 2000 collabora con quello di Sarajevo nell’ambito di un programma di scambi culturali; nel 2008 si trasferisce a Parigi per lavorare per Coproduction office di Philip Bober (produttore tra gli altri di Frammartino e Jessica Hausner) continuando la sua attività nei festival – Les Arcs CPH: DOX. Responsabile delle acquisizione per Mubi, al festival di Rotterdam è presente – alla guida di Iffr Talks – dal 2016.
La possibilità di un festival virtuale è stata sempre presente?
Abbiamo iniziato a lavorare subito su diverse ipotesi, e sì, quella di spostare la manifestazione online è stata sempre presente, procedevamo in parallelo. Alla fine dell’estate abbiamo annunciato la divisione in due parti del festival, il programma sarebbe stato meno ampio, per la prima parte abbiamo deciso di concentrarci sui concorsi con un numero maggiore di titoli. Il gruppo di lavoro è stato fantastico, pieno di idee e di creatività nella ricerca di una forma che poteva funzionare al meglio in questa situazione.
Cosa comporta per i festival il passaggio all’online?
Credo che un evento come un festival porti una maggiore attenzione verso i film anche se avviene in uno spazio virtuale. Il pubblico ha sempre molte aspettative. Non è chiaramente la stessa cosa che in presenza, intorno a un festival si costruisce una comunità globale basata sul confronto che è fondamentale per gli artisti e per tutti i professionisti così come per il pubblico. E che non può essere sostituita dallo streaming. Ci sembrava però importante realizzarlo anche in questa modalità come supporto all’industria del settore che è in grande sofferenza. La Mostra di Venezia che è stata più in presenza che online ci aveva fatto sperare, purtroppo la pandemia non è prevedibile e l’aumento dei casi ci avrebbe obbligato a ridurre gli accessi in sala al punto da privare l’evento di senso.
In che modo questa struttura ha influenzato le vostre scelte anche artistiche?
Dividere il festival in due parti ha permesso un’organizzazione del lavoro più semplice, di fronte all’imprevedibilità degli eventi è bene darsi dei limiti in cui muoversi. Devo dire che un festival ibrido aiuta. Questa edizione è speciale per molte cose, al di là del formato inedito, è il nostro cinquantesimo anniversario, forse non era il momento più adatto per sperimentare nuove ipotesi ma il solo fatto di rompere la forma tradizionale del festival ha messo in campo delle nuove opportunità. Abbiamo «asciugato» alcune sezioni come Bright Future che avrà luogo in giugno e che per la prima volta è dedicata agli esordi: ogni programmatore ha scelto un film. Invece è aumentato il numero dei film nei concorsi (lunghi, corti, Big Screen); abbiamo lavorato su iniziative che arriveranno fino a giugno per veicolare il pubblico alla seconda parte del festival.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento