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Vampiri, non ogni cadavere è morto

Vampiri, non ogni cadavere è mortoDal «Nosferatu» di Werner Herzog, 1979

Saggi La genealogia dei revenant e di altri fenomeni soprannaturali sullo sfondo delle rivalità tra cattolici, protestanti, ortodossi: «Vampyr», dello storico Francesco Paolo De Ceglia, da Einaudi

Pubblicato più di un anno faEdizione del 28 maggio 2023

La tracciatura della linea che separa il nostro mondo da quella terra dalla quale nessuno ritorna – così Shakespeare nell’Amleto – è un processo storico e documentabile, che si è svolto nel corso di secoli e ha avuto, nel solo Novecento, alcune memorabili traduzioni in letteratura, da quella di Edgar Allan Poe nel suo agghiacciante racconto «I fatti nel caso del signor Valdemar» a «Aria fredda» di H.P. Lovecraft, al romanzo di Maurice Blanchot, La sentenza di morte, che riflette sulla problematicità del transito dalla condizione di vivente a quella di defunto, segnalata nel titolo originale dall’ambigua parola arrêt, traducibile sia con «sentenza» che con «arresto».

Ora, una trattazione puntuale e di godibile lettura  Vampyr: Storia naturale della resurrezione dello storico Francesco Paolo De Ceglia (Einaudi, pp. 415, € 34,00) prende come punto di partenza della sua indagine la riesumazione di una serie di cadaveri avvenuta nel dicembre del 1732 a Medvedja, cittadina che è oggi parte della Serbia meridionale, ma allora era stata da poco annessa all’Impero Austriaco. Le esumazioni furono disposte da un medico militare, inviato a indagare «su un’allarmante sequela di morti sospette, affastellatesi negli ultimi tempi in quel villaggio remoto».

Alla fin fine, ne vennero incolpate due donne, Miliza e Stanno, abitanti di quella zona ma provenienti dai territori ancora sotto il dominio turco: sospettate post mortem di essere vampire, vennero dissepolte e anatomizzate. Il chirurgo Flückinger constatò che il corpo di Stanno era «pressoché intatto e non corrotto», e fu quanto bastò a fornire l’evidenza «scientifica» di un caso di vampirismo. Comincia da qui la ricerca di quello che De Ceglia chiama ironicamente «il paziente zero», l’iniziatore del contagio dei revenant (o ritornanti), quei morti che non giacciono tranquilli nella tomba. L’indagine approdò a un uomo di nome Arnold Paole, morto cinque anni prima, che in vita – si diceva – sostenne di essere stato tormentato da altro vampiro: anche lui, come le due donne era venuto dalle terre dei turchi, e anche il suo corpo, riesumato, era stato trovato «intatto e incorrotto», per cui gli era stato piantato un paletto nel cuore, ed era stato poi cremato.

Si direbbero racconti del genere soprannaturale, o riassunti di qualche film horror ambientato nel Settecento più oscuro, eppure quelli ricostruiti da De Ceglia e messi in relazione tra loro con una prosa elegante, di grande finezza nelle scelte lessicali e nel periodare, sono casi documentati, che lo storico sottopone a analisi stringenti, intervallate dai «si dice», «si afferma», «si racconta»: è chiaro, infatti, come nei rapporti dell’epoca comparisse non tanto ciò che il medico Flückinger aveva visto con i suoi occhi quanto ciò che gli era stato raccontato dalla gente del posto, che nei fenomeni di vampirismo credeva ciecamente. A partire da questo episodio, oggi dimenticato ma che negli anni aurorali del giornalismo suscitò un grande scalpore in tutta l’Europa, De Ceglia avvia la sua ricerca a ritroso nel tempo per tracciare la genealogia del vampiro nelle sue varie reincarnazioni, mostrando l’incrocio e la mescidazione di diverse tradizioni provenienti da aree culturali disparate, e il loro contagio con altre figure dell’immaginario europeo premoderno, dalla strega ai vari altri protagonisti dei nostri incubi.

Evitando di volta in volta il rischio di astrarre i fenomeni dal loro contesto storico, De Ceglia lascia emergere dal reticolo delle relazioni  che ha ricostruito complesse dinamiche politiche, linguistiche, culturali, religiose, rivelando come  sullo sfondo di questi pretesi fenomeni soprannaturali si staglino le rivalità tra cattolici, protestanti e ortodossi; e più in generale le tensioni tra i vari regni europei, e la competizione tra le diverse istituzioni che di volta in volta pretendevano di avere l’ultima parola sulla definizione di chi è vivo e chi è defunto, nonché quali fossero i morti in regola e quali necessitassero di rituali, descritti tramite dettagli tanto raccapriccianti quanto rivelatori.

Davvero imponente la bibliografia convocata da De Ceglia, che si avvale di studi antropologici, teologici, medici, sfatando alcune leggende e sbugiardando luoghi comuni: fra questi, l’origine rumena dei vampiri, che provenivano invece dalla Serbia e avevano figure apparentate in altre aree insospettabili, dalla Grecia alla Slesia alla Germania luterana.

Rievocando puntualmente i molti episodi di isteria collettiva (come la folle «fabbrica dei vampiri» in Moravia), De Ceglia chiama a testimoniare cronachisti e saggisti di epoche passate, nonché i protagonisti dei vari episodi della lotta contro i «ritornanti», che si chiamino vampiri o prendano in prestito altri termini dalle lingue dell’Europa centrorientale. Tassello dopo tassello, questo grande affresco di tempi assai oscuri, che si insinuano persino nella stagione illuminista, esibisce la radicalità della paura nei confronti dei trapassati, e quanto resistente sia stata l’idea che alcuni tra loro potessero tornare: più forte di qualsivoglia superstizione, quell’idea persiste nell’immaginario collettivo, dando ai vampiri forme che non si stancano di riprodursi.

Nella sua ricostruzione, De Ceglia suggerisce provocatoriamente che il ritorno dalla tomba abbia un illustre precedente nella storia di Cristo narrata nei Vangeli; e nota come i cattolici si siano da sempre indaffarati nel distinguere tra due categorie di cadaveri miracolosamente preservati, quelli dei diabolici ritornanti e quelli dei santi. Fu, com’è ovvio, una decisione politica a segnare il definitivo passaggio da un mondo dove l’aldiquà e l’aldilà comunicavano, così da permettere al morto di rifarsi vivo, a una separazione rigida delle due sfere, che stabiliva nel decesso un fenomeno irreversibile: avvenne nell’Austria illuminata e assolutista, dove l’ultima parola sulla distinzione tra vivi e defunti venne riservata alla classe medica, e sottratta dunque a becchini, sacerdoti e altre figure più o meno pittoresche, precedentemente incaricate delle riesumazioni dei cadaveri sospetti.

Non a caso De Ceglia dedica l’ultima sezione del capitolo conclusivo al «vampiro vietato per legge»: la ragione ha prevalso, l’ordine regna a Vienna.

Quanto alla letteratura, la ritroviamo nell’epilogo del saggio: qui ci attende il vampiro per eccellenza, quel conte Dracula che l’immaginazione sincretica di Bram Stocker assemblò attingendo alla storia rumena e alle tradizioni serbe, inventando – o forse riprendendola da precedenti storici eccessivamente creativi, perché nel vocabolario del rumeno essa non ha, né ha mai avuto cittadinanza – una parola che si sarebbe radicata nella nostra coscienza collettiva: nosferatu. Di qui ai vampiri sexy di Twilight e della narrativa per young adult, il passo non è poi così lungo come potrebbe sembrare: a volte, infatti, ritornano. Anzi, quasi sempre.

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