Lavoro

Valeria Pulignano: «Lavoro digitale, il governo non stia fermo e anticipi la direttiva Ue»

Valeria Pulignano: «Lavoro digitale, il governo non stia fermo e anticipi la direttiva Ue»Una protesta dei rider in Italia – Ap

Intervista Parla Valeria Pugliano, sociologa dell'Università di Lovanio e studiosa del lavoro non pagato sulle piattaforme digitali: "Non bisogna aspettare che tutto venga dall’alto ma creare il terreno fertile per l’implementazione dei principi guida contenuti nella direttiva Ue sulle piattaforme digitali"

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 10 dicembre 2021

Valeria Pulignano, sociologa dell’università di Lovanio e studiosa del lavoro sulle piattaforme digitali, prima che la direttiva Ue sui lavoratori delle piattaforme digitali diventi operativa passeranno mesi, se non anni. E l’assunzione dei rider come dipendenti non sarà automatica. Cosa dovrebbe fare nel frattempo il governo italiano?
Non deve restare a guardare, ma agire subito, creare terreno fertile per l’implementazione dei principi guida della direttiva e evitare la frammentazione dei “contratti pirata” Non bisogna aspettare che tutto venga dall’alto.

Valeria Pulignano (Università di Lovanio)

Negli ultimi tre anni i governi hanno pasticciato sulle regole per il lavoro di piattaforma e hanno posto le premesse, ad esempio, per la firma di un contratto contestato tra Assodelivery e Ugl. Cosa si può fare?
Evitare di frantumare i rider a seconda delle diverse parti sociali che contrattano per loro. Le regole sulla rappresentanza vanno create e fatte rispettare. Andrebbe inoltre chiarito in quali contratti nazionali andrebbero inseriti i rider. In Italia si pensa a quello della logistica. In Francia ai trasporti. Considerata l’indebbolimento dei sistemi di relazioni industriali in Europa e la riduzione della copertura della contrattazione si corre però il rischio di lasciare alle aziende la scelta delle condizioni di lavoro più convenienti per loro, soprattutto laddove il sindacato è più debole.

Il principio adottato dalla piattaforma, per dimostrare la subordinazione dei rider, è il “rovesciamento dell’onere della prova”. In cosa consiste?
Oggi i riders che vogliono il riconoscimento dello status di dipendenti hanno l’onere di ricorrere al giudice che poi delibera. Con la nuova direttiva non dovrebbe essere più così: saranno le piattaforme che avranno l’onere di dovere dimostrare che i lavoratori sono lavoratori autonomi. Senza dubbio è un grosso passo in avanti e potrebbe riequilibrare rapporti di potere fortemente sbilanciati. Tuttavia vanno definiti i controlli e resta da definire la negoziazione.

In che modo questo contrasta il caporalato e lo sfruttamento dei migranti?
Riconoscendo le aziende come datori di lavoro subordinato le piattaforme saranno responsabili in questi casi. Dovrebbe valere anche per le piattaforme di lavoro di cura, o di pulizie, dove casi di abuso e incidenti domestici sono possibili.

Si sta discutendo di una direttiva sul salario minimo in Europa. Sarà utile per questi lavoratori?
Il salario minimo è un elemento che diventa forte quando è complementare alla contrattazione collettiva. Quindi bisogna inserirlo in un contesto di contrattazione collettiva dove i sindacati rappresentativi contrattano un miglioramento delle condizioni salariali.

Spesso il lavoro di piattaforma è associato ai rider e alla subordinazione. Nell’economia digitale ci sono anche i lavori freelance. In che modo si interviene su questo?
C’è molto da fare. Dalle nostre ricerche è emerso un problema chiave: il riconoscimento ai freelance del potere di decidere i prezzi. Seppure l’articolo due specifica che la direttiva si applicherà a tutte le forme di lavoro su piattaforma mediata digitalmente, tuttavia, la direttiva taglia corto sulle tutele dei diritti di contrattazione collettiva per tutti. I freelance vogliono essere indipendenti e non dipendere dalle piattaforme come Upwork, per esempio, dove si paga per potere lavorare. C’è il problema della “reputazione”, ad esempio per chi fa il traduttore o il graphic design. Non possono portare la “reputazione” da una piattaforma all’altra. Se vogliono spostarsi devono ricominciare da zero. Anche i più giovani restano imprigionati salvo che non riescano a salire lungo la catena dei ratings. In questa economia chi vuole essere libero non può esserlo, come i freelance. E chi vuole essere dipendente non può diventarlo, come i rider.

Si parla dell’obbligo di trasparenza degli algoritmi e rendere pubblici i dati sul “rating”. Non sarebbe preferibile cancellarlo per evitare di mettere in concorrenza i lavoratori?
Sì, e tra l’altro alcune piattaforme hanno creato altri sistemi. Frank, l’algoritmo di Deliveroo è diventato da circa un anno un free login system che permette a chiunque di collegarsi e lavorare indipendentemente dalle statistiche precedenti. Frank attribuisce l’ordine al rider più vicino al cliente o al ristorante. I lavoratori però non sanno come opera realmente. Nella direttiva si parla di “monitoraggio umano” dell’algoritmo. È una definizione importante. Tuttavia andrà capito come interverrà nelle condizioni di lavoro e come sarà negoziato l’algoritmo con le parti sociali. Non basta stabilire gli standard minimi di una prestazione, bisogna farli rispettare.

Lei ha indagato il problema del tempo non pagato passato dai lavoratori delle piattaforme. La direttiva è una soluzione?
La direttiva minimizza il lavoro non pagato riconoscendo lo status di lavoro subordinato e la trasparenza nei dati anche se non mette in chiara luce quali dati sono necessari. Quando ci sono sistemi di pagamento diversi dal lavoro dipendente, ad esempio il lavoro a ore, ci sono altri problemi. Su Take Away dove i lavoratori sono assunti dalla piattaforma come in Francia o altrove attraverso agenzie interinali, è più complicato. Le ore e i turni non sono garantiti. I lavoratori non sanno quanto e quando lavoreranno. Sono attivi ma, ad esempio le pause non gli sono pagate.

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