Le foglie lucenti di una magnolia, il sagrato della chiesa di San Paolo Maggiore a Napoli illuminato da un’alba di ottobre, il colpo perfetto di un tennista, l’altoforno 4 dello stabilimento dell’Italsider a Bagnoli che di notte sembra una cattedrale, con le rane che gracidano nelle pozze di raffreddamento. Il nuovo libro di racconti di Valeria Parrella, Piccoli miracoli e altri tradimenti (Feltrinelli, pp. 112, euro 15, in libreria da martedì 13 febbraio), è pieno di quelli che Katherine Mansfield – maestra della narrativa breve – definiva «glimpses», ossia quelle rapide occhiate, quelle visioni di sfuggita, quei piccoli bagliori che bucano la superficie del tempo e ci mostrano un altro mondo, o il mondo per quello che è. No, no, niente rivelazioni sul senso della vita.

IL SENSO NON C’ENTRA, c’entra la vita. Che a volte non ha senso. Virginia Woolf li chiamava «momenti di essere», attimi in cui la grana della realtà si fa più nitida e impressiona la vista, i sensi, al pari di una scossa, di un piccolo shock. O un piccolo miracolo. Come quello che Antonella, protagonista del primo racconto della raccolta di Parrella, intravede negli occhi del ragazzo dai capelli ricci che lavora all’enoteca sotto casa: «una particella lunare che o ce l’hai o non ce l’hai e lui ce l’aveva». O come la conchiglietta azzurra che la storica dell’arte, protagonista di un racconto perfetto come L’ultima spiaggia, si ritrova improvvisamente fra i capelli, anche se – così le pare – è rimasta sempre seduta alla scrivania. O ancora come il sorriso di Michele, che solo il benzinaio della stazione di servizio di uno stradone non progettato per gli esseri umani – e dove dunque nessuno sorride mai – riesce a vedere.

E poi c’è Fiorella, che è giovane e bellissima, morta a ventisei anni, non importa per cosa – non esiste un buon motivo per morire a ventisei anni – che se ne sta distesa come una statua di Canova sulla tavola autoptica di una sala settoria, e tutte le notti visita i «sogni di chi la rimpiange e di chi la desiderò» come una Gradiva, una kore dagli occhi blu, eternamente imprendibile. E c’è Margherita, che però avrebbe voluto chiamarsi Emma, come Emma Bovary, e legge tutto il giorno mentre sua madre pulisce, suo padre va via di casa, e Padre Pio la osserva, da dietro la porta, con le «bende sporche e sanguinolente» come quelle «di un pugile sfortunato». E c’è Marta, che sotto il sole magnifico e impietoso della Basilicata si prende cura dell’ortensia che le ha affidato la sua matrigna Grazia, e più se ne prende cura, girandola ogni settimana perché le foglie crescano bene, meno è arrabbiata per la morte prematura di sua madre Viviana.

E C’È LA GIOVANE BARISTA che ogni mattina, in un bar al centro del decumano superiore di Napoli, deve trovare dentro di sé una lista di buoni motivi per non far sedere all’interno Rosaria l’ubriacona, che secondo il capo allontana la clientela, e secondo tutti è «tutto ciò che la città non sarebbe dovuta diventare mai».
Con la lingua esatta, felice e crudele a cui ci ha abituato negli anni, Valeria Parrella torna alla narrativa breve dei suoi esordi – Mosca più balena e Per grazia ricevuta (minimum fax, 2003 e 2005) – e che non ha mai abbandonato (Troppa importanza all’amore, Einaudi, 2015), dimostrandoci ancora una volta di essere padrona di – e devota a – la forma più difficile, benedetta e stupidamente trascurata in Italia, quella del racconto (che pure conta, fra gli italiani, alcuni dei suoi massimi maestri, come Goffredo Parise e Anna Maria Ortese).

Leggere i dodici racconti di Piccoli miracoli e altri tradimenti è come fare un viaggio in treno, lo stesso che fa la protagonista del racconto da cui prende il titolo la raccolta, un viaggio strappato al tempo di sempre per inseguire il tempo dell’occasione, dello spreco, del bagliore e dell’abbaglio. Il punto, per Valeria Parrella, e per noi che leggiamo, non è la meta: «Gli uomini costruiscono strade brutte perché pensano di attraversarle di fretta, le fanno così perché non pensano mai alla strada ma alla meta», scrive l’autrice in «Rivoluzione», l’ultimo racconto del libro. Valeria Parrella, al contrario, costruisce racconti belli perché non pensa alla meta, al finale, ad arrivare da qualche parte. Quello che le interessa, semmai, sono le deviazioni, le distrazioni, i tradimenti alla trama e alla vita, le cose che non dovrebbero piacerci ma ci piacciono, e viceversa. L’occhio aperto e subito richiuso per proteggere un segreto che brilla.

I BIGLIETTINI DEI BISCOTTI della fortuna del ristorante cinese conservati nei bicchieri di cristallo del servizio buono, la «pelle dipinta di vernice d’oro» di una donna che sta per incontrare il suo amante, il «muretto dell’aiuola di quell’enoteca alle diciannove, mentre a est annotta e a ovest è tutto ancora arancione e possibile», il tricot bianco delle signore-bene sedute in tribuna d’onore alla partita di tennis, «il modo “canino” di inclinare la testa» dell’uomo che piace alla protagonista del racconto «La sentinella». E poi: i ciuffi di cappero non ancora in fiore, la «lunga lacrima di caffè» lasciata da una tazzina gettata contro il muro, la differenza tra il pubblico del tennis e quello del calcio, «troppo esuberante per aver capito davvero qualcosa della bellezza (e quindi dell’amore)». E poi l’enorme dito indice di Dio, che alle 13.54 di un giorno qualunque decide di manifestarsi a una storica dell’arte atea, e di portarla su un’isola greca, tra parei, ciabattine e «una rivista allegra piena di test sei gelosa o sei golosa», per poi riportarla indietro, senza motivo, senza memoria. Perché, come diceva il buon Eraclito, «o Theós paízei», il dio gioca. E lo fa anche Valeria Parrella, divinamente.

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SCHEDA. Una delle voci contro la violenza di genere

L’autrice presenterà il suo libro il 14 a Napoli (Feltrinelli di Santa Caterina a Chiaia) e il 15 a Milano (Feltrinelli di viale Pasubio). Il 2 marzo a Bologna (Piazza Ravegnana) Parrella sarà una delle voci protagoniste della rassegna «Contro la violenza di genere». Insieme a lei Giada Biaggi, Fumettibrutti. Modera Valentina Farinaccio. Info: www.feltrinelli.it/contro-violenza-di-genere