Valentina Tamborra, scatti e racconti dal popolo Sami
Intervista «I Nascosti», da minimum fax, presenta quattro anni di lavoro giornalistico e fotografico
Intervista «I Nascosti», da minimum fax, presenta quattro anni di lavoro giornalistico e fotografico
Viaggiatrice, fotografa e giornalista, Valentina Tamborra (Milano 1983) ha presentato il suo ultimo libro I Nascosti (minimum fax, 2024) – The Hidden nell’edizione inglese – nelle giornate inaugurali del festival fotografico «Cortona On the Move». Il volume raccoglie quattro anni del suo lavoro sui Sami, «un popolo con una storia di grande sofferenza e privazione d’identità.», come afferma l’autrice. «Se sono riuscita a entrare così tanto nella loro storia, forse dipende dal fatto che avevo con i Sami un punto in comune. Provengo da un paesino sperduto sui monti, tra Slovenia e Italia, che si chiama Topolò in italiano e Topolove in sloveno e ho vissuto sulla mia pelle la privazione della lingua e il cambiamento della cultura. Mia madre parla sloveno ma non l’ha mai parlato con me. So che l’ha fatto per protezione, ma quando devi proteggere una figlia o un figlio dalla tua lingua madre, o da una delle tue due lingue madri, qualcosa non va. Per me è stata una grande privazione, certamente un motivo che mi ha spinta ad affrontare le tematiche sul confine».
«I Nascosti»nasce come progetto antropologico o lavoro di denuncia?
Nel 2024 termineranno i lavori della commissione per la Verità e la Riconciliazione per il riconoscimento dei crimini perpetrati sul popolo Sami. Un popolo che ha una tradizione antichissima in larga parte nomade. Sono pastori di renne che dipendono dai ritmi naturali. La loro esistenza, però, è messa a rischio sia dal cambiamento climatico che da uno stile di vita sempre più veloce, inclusa una «green economy» che non sempre tiene conto dei diritti dei nativi. Quindi questo progetto antropologico alla scoperta di un popolo meraviglioso, nel tempo è diventato anche un lavoro di denuncia e d’inchiesta per mostrare quello che succede oggi oltre il circolo polare artico, in quel mondo che tanti dicono di voler difendere ma che forse non conoscono fino in fondo. Nella sua realizzazione ho avuto modo anche di intervistare l’ex presidente del parlamento Sami Aili Keskitalo e la nuova presidente Silje Karine Muotka che, pur avendo visioni diverse, su una cosa sono d’accordo: se al popolo Sami viene tolta la possibilità di vivere nel modo in cui è abituato a vivere non ha più motivo di esistere. I Nascosti riflette sia sulla bellezza della natura artica che sul popolo Sami con le sue battaglie e il modo di vivere in sincronia con la natura.
Diverse sono le emergenze più urgenti: tra queste c’è sicuramente l’opposizione alle pale eoliche…
I Sami sono un popolo di circa 80mila anime – non c’è un censimento preciso – diviso tra Norvegia, Russia, penisola di Kola, Svezia e Finlandia. Il problema comune, quanto meno in Svezia, Finlandia e Norvegia è proprio quello delle pale eoliche che vengono installate sui terreni della transumanza, dunque su terreni che storicamente erano dei pastori Sami. Succede così che le renne che fanno quei percorsi millenari si trovano davanti a giganti ronzanti che, ovviamente, vanno a impattare sull’ambiente e sulla loro transumanza, perciò deviano i loro percorsi percorrendo nuovi itinerari in cui non sempre trovano il cibo, anche per via del cambiamento climatico. Nel libro ci sono delle immagini abbastanza forti, perché ho seguito gli esami anatomopatologici delle renne che i pastori Sami hanno trovato morte. Molte di loro erano morte di fame. Questo vuol dire che i Sami devono portare il cibo alle renne, ma ciò cambia completamente il comportamento di quegli animali con la loro domesticazione. Quando ho iniziato il lavoro, tra il 2018 e 2019, le renne erano animali che vedevo correre – ho seguito la loro transumanza anche durante la notte artica – scappavano, erano lontane dall’uomo e vivevano libere nella natura. Invece nel 2022, durante il mio ultimo viaggio, le ho fotografate mentre si avvicinavano facendosi accarezzare. Questa domesticazione non è assolutamente nella visione Sami che dicono da sempre: «siamo noi a seguire le renne e non loro a seguire noi».
I Sami hanno vinto alcune cause contro le installazioni delle pale eoliche, ma non tutte anche perché il parlamento Sami che esiste dal 1989 e ha sede a Karasjok in Norvegia, in realtà ha scarsissimo potere decisionale. Viene informato di ciò che succede, ma poco può fare per intervenire. Qualcosa si muove, naturalmente, ma è tutto troppo sotto al tappeto in un modo non molto pulito, con una sorta di silenzio che somiglia ad una censura.
Nel progetto editoriale è nata prima la fotografia o la scrittura?
La fotografia non può sempre dire tutto. Soprattutto nel reportage, fotografia e parola vanno di pari passo. Il fatto stesso di raccontare la storia di un passato che non può essere fotografato e di cui non abbiamo prove, mi ha portata in questa direzione.
Inoltre, c’erano tantissimi altri elementi di una bellezza struggente attinenti alla cultura Sami, tra cui lo sciamanesimo che andavano raccontati perché la sola foto non poteva restituirli. Soprattutto quando si parla di violazione dei diritti umani è necessario usare tutto quello che si ha a disposizione per denunciare. In questo caso l’idea di scrivere insieme alla fotografia è stata immediata: sapevo che fotografare non mi sarebbe bastato. Mi sono anche resa conto, durante quei quattro anni di lavoro, di essere testimone di qualcosa che stava già cambiando. Forse, tra solo cinque o sei anni, immagini come quelle pubblicate nel libro non le potremmo più vedere. Intanto perché la renna sarà diventata un animale domestico e vederla libera nella tundra non sarà più la normalità.
La ricerca fa sempre parte del tuo approccio alla fotografia?
Non parto mai per un luogo senza essermi documentata: leggo libri o vedo film e documentari per comprendere il più possibile il luogo in cui sto andando. È importante anche avere un immaginario per poi, eventualmente, distruggerlo. Un film come La ragazza delle renne (Stöld), diretto nel 2024 da Elle Márjá Eira e tratto dal romanzo omonimo di Ann-Helen Laestadius, che prossimamente sarà pubblicato da Marsilio nell’edizione italiana con una mia foto in copertina, è molto importante per capire il contesto. Ma non c’era nulla del genere quando ho iniziato questo progetto. Prima del viaggio avevo parlato a lungo con antropologi, ma poi sul posto molte cose sono state delle scoperte. Durante il primo viaggio, ad esempio, tutte le persone che incontravo negavano di credere ancora nello sciamanesimo. Quando, invece, durante il secondo viaggio mi sono sentita dire che avevano creduto in me perché ero tornata, mi si è aperta un’altra finestra. È stato allora che ho potuto assistere al «Nissetoget», un rito meraviglioso con le maschere che mi ha ricordato la Sardegna. Nella notte tra il 31 dicembre e il 1° gennaio nella valle di Måndalen in Norvegia, tra Troens e Capo Nord culla del popolo Sami, centinaia di uomini e donne indossano maschere con fattezze di animali – realizzate da loro stessi nelle settimane precedenti – marciando per ore sul ghiaccio fino a raggiungere un fuoco sacro. Intorno a quel fuoco, tra musica e danze, le maschere vengono bruciate per richiamare una nuova buona annata e scacciare gli spiriti negativi.
Non è un gioco e non ha nulla di turistico, questa cerimonia figlia dello sciamanesimo è una cosa molto seria. Non si può partecipare se non si indossano le maschere. Anch’io l’ho indossata per poter stare in mezzo a loro.
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