Nel centenario della nascita di Valentina Cortese, il Piccolo Teatro di Milano le rende omaggio con un incontro curato da Maurizio Porro, in dialogo con Giulia Lazzarini e il giornalista Gian Luca Bauzano, lunedì 30 ottobre, ore 17.00, presso il Chiostro Nina Vinchi di via Rovello 2 (ingresso libero con prenotazione obbligatoria su piccoloteatro.org).
L’omaggio a Cortese è l’ultimo di tre (gli altri rispettivamente dedicati a Luciano Damiani e a Franco Graziosi) all’interno dell’installazione La leggerezza del tempo – fruibile in orario di spettacolo fino al 24 luglio 2024 nel foyer del Teatro Grassi – per ricordare Il giardino dei ciliegi, spettacolo cui hanno preso parte le personalità ricordate: la storica regia di Giorgio Strehler debuttò al Piccolo il 22 maggio 1974, con le scene di Luciano Damiani, Valentina Cortese nei panni di Ljubov’ Andreevna Ranevskaja e con Franco Graziosi nel ruolo del villain Ermolaj Alekseevic Lopachin.

«Nella vita, lo so, cerco di fare il clown, cerco di tenermi questa etichetta che mi hanno messo addosso della diva un po’ evanescente, e che in fondo mi va bene, mi protegge e mi fa comodo…».

Valentina, Valentina… o meglio Valucc, come amava essere chiamata dagli affetti più cari: «Mi chiamarono con tanti nomi: Valentina, Elena, Massimiliana, Maria – Dio, quanti! -, ma a me bastava essere chiamata Valucc».
Diva stravagante dalla voce melodiosa, eterna bambina sognatrice, sempre pronta con una parola di conforto verso gli altri, cercando «il bello» e lo stupore dovunque, in ogni esperienza vissuta, in ogni personaggio affrontato sui set cinematografici e sulle tavole del palcoscenico. La sua vita, tutta, è paragonabile a una favola in totale dualismo tra sogno roseo e incubo terrorizzante. Ripercorrendo gli scritti a lei dedicati (fondamentale il volume Le nove vite di Valentina Cortese di Alfredo Baldi), compresa l’autobiografia Quanti sono i domani passati, pubblicata nel 2012, si rimane continuamente stupiti di come abbia affrontato, con tanta delicatezza, una carriera turgida di soddisfazioni pubbliche e personali, ma anche di tribolazioni importanti legate alla sfera privata: l’infanzia spensierata trascorsa tra le campagne lombarde e le famiglie contadine; l’affetto smisurato per la nonna, figura all’avanguardia che la appoggiò nel desiderio di trasferirsi a Roma per l’amore «scandaloso» di Victor de Sabata; lo sbarco a Hollywood e il whisky tirato in faccia al manesco Darryl F. Zanuck; il doloroso divorzio da Richard Basehart da cui ebbe l’unico figlio, Jackie; l’incontro folgorante con Giorgio Strehler in quella Milano tanto amata.

Ed è proprio nel tassello riguardante la relazione artistico-sentimentale con Strehler, durata 15 anni, che Valentina trova la sua dimensione più congeniale a livello attoriale: «Incandescente genio. Con Strehler mi si apriva un mondo nuovo, un linguaggio nuovo. Era un fanciullo e un gigante. Eravamo legati da un filo impalpabile fatto di poesia, d’amore…». La loro prima esperienza professionale avenne nel 1959 con Platonov e gli altri di Cechov con, tra gli altri interpreti, Giulia Lazzarini: «Creatura deliziosa. Giulia non è mai mancata nei momenti difficili della mia vita: la sua disponibilità e la sua tenerezza sono senza pari». E mentre con Strehler iniziò una convivenza presso il Conventino di piazza Sant’Erasmo, gli spettacoli al Piccolo (ma non solo lì) continuarono: El nost Milan, Arlecchino servitore di due padroni, Il gioco dei potenti, I giganti della montagna, Il processo a Giovanna d’Arco a Rouen – 1431, Santa Giovanna dei macelli, Il giardino dei ciliegi. Proprio a ridosso di quest’ultimo titolo, la relazione con Strehler terminò per volere di Valentina: «Giorgio, è finita», gli disse. Mantennero comunque una profonda amicizia durata fino alla morte di lui.

In mezzo a tutto questo turbinio di emozioni, di squarci affamati di vita, ricordiamoci anche della Valentina attrice cinematografica. Dai personaggi ingenui e un po’ lagnosetti dei primi anni Quaranta (su tutti quello di Lisabetta ne La cena della beffe di Blasetti), arrivata a Hollywood tentarono di appiccicarle addosso il bollino di femme fatale, come in Malesia con Spencer Tracy e James Stewart, per lei ottimi compagni di set, ma fu un film – e un ruolo – che detestò. Molto meglio il genio e la follia di Fellini, che in Giulietta degli spiriti la fece recitare «coi numeri» avvolta in tulle e margherite; il bene volutole da Robert Aldrich che in Quando muore una stella le affida un cameo «colpevole» di aver offuscato la «rivale» Rossella Falk, presente con un ruolo molto più corposo in sceneggiatura (si ritroveranno anni dopo, dirette da Zeffirelli, nella Maria Stuarda di Schiller).

E, ovviamente, l’immancabile François Truffaut con Effetto notte, in cui Valentina è Sévérine, deliziosa attrice crepuscolare, dedita all’alcol e alla difficoltà di non riuscire a memorizzare le battute del copione, una maschera teneramente patetica nella sua goffaggine; la nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista fu meritata, tanto che la vincitrice effettiva di quell’anno, Ingrid Bergman per Assassinio sull’Orient Express, si rammaricò con lei dal palco del Dorothy Chandler Pavilion: «Perdonami, Valentina. Non volevo». Poi ci sono state le amicizie fraterne con Paolo Grassi, Nina Vinchi, Alida Valli, Franco Zeffirelli, Marcello Mastroianni, Anna Magnani… I fantomatici «film-marchetta», come li chiamava lei, degli anni Settanta «perché, cari, bisogna pur vivere, lo facciamo tutti», non negando un certo divertimento durante la lavorazione di Il bacio di Mario Lanfranchi: «In una scena dovevo fare la lesbienne. Con Martine Beswick giocavamo, ridevamo da morire e allora diamoci dentro!». Tante esperienze cangianti, tanti vissuti che hanno impresso nei nostri sguardi il suo volto, i suoi toni vocali, i suoi gesti simbolici: emblematico il foulard avvolto attorno alla nuca in omaggio alle contadine che hanno popolato la sua infanzia. Ma c’è un’ulteriore immagine maggiormente congeniale per cristallizzare il nostro ricordo e dare completezza all’omaggio che il Piccolo Teatro le tributerà, ed è legata all’aspetto più intimo: Valentina, quando rincasava di notte dalle prove, preparava due tazze di cioccolata calda, una per lei e una per Strehler. Le sorseggiavano una di fronte all’altro. E così, nella pace della loro abitazione, anche se per pochi istanti, riassaporavano il gusto di ritornare bambini.