Visioni

Valdoca, dentro il rito teatrale cercando ciò che ci rende umani

Valdoca, dentro il rito teatrale cercando ciò che ci rende umaniUna scena di «Paesaggio con fratello rotto» (2004)

Mappe «Fuori Orario» dedica un omaggio alla compagnia, con un viaggio attraverso le immagini e gli spettacoli. La poetica di Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi, la scrittura, gli attori. Dai grandi lavori degli anni ’90 alle letture, la libertà artistica attraverso i decenni

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 19 gennaio 2024

Erano gli anni Novanta quando nel mezzo di un terreno al buio gli spettatori venivano catapultati nel Fuoco centrale della Valdoca. L’occasione era il festival di Santarcangelo, in quello grande spazio aperto – la direzione era di Leo De Berardinis – apparivano figure fiabesche, corpi poetici che lo percorrevano, lo riempivano del loro respiro, di un suono potente che riecheggiava nell’aria, la permeava, risuonava di vita, di sogni, di narrazioni archetipe e di misteri umani: giorni che non esistevano, mondi mancanti, piccole fratture del sentimento.

«Ossicine» (1994) foto di Paolo Pisanelli

MA QUELL’EMOZIONE di una danza sconosciuta e meravigliosa, che si faceva invenzione di teatro, aveva già dolcemente invaso, forse un anno prima – e sempre durante il festival teatrale romagnolo – la villa di San Mauro Pascoli con la struggente epifania per ogni spettatore che si chiamava Ossicine, a cui si giungeva al tramonto, correndo in macchina su una distanza breve mentre nell’aria estiva della Riviera echeggiava la voce di qualche canzonetta pop. I due spettacoli avevano un rimando anche produttivo, nati dall’impegno di un gruppo di giovani attori raccolti dal regista Cesare Ronconi nei seminari tenuti in diverse città – vi erano fra i molti Elena Guerrini e Filippo Timi.

La Valdoca però, ovvero Mariangela Gualtieri e Cesare Ronconi, aveva iniziato a fare teatro, o forse meglio a rivoluzionarne l’essenza già nel decennio degli Ottanta di nuove scene e nuove spettacolarità, «sconcerti rock» e «sabato italiani», tentativi a volte maldestri, altre magnifici di un immaginario che provava a dare voce alle impalpabili irrequietezze del tempo, al desiderio di un altrove che in quella metropoli diffusa di Romagna e di Emilia, e di paesaggi tondelliani aveva trovato un centro pulsante. Sarebbe infatti da chiedersi come è accaduto che molte delle realtà teatrali che più hanno cambiato la nostra scena – e non soltanto – siano nate lì, pensiamo alle Albe a Ravenna, ai Motus a Rimini, alla Raffaello Sanzio a Cesena con esperienze e ricerche che negli anni si sono intrecciate – il lavoro sulla voce di Mariangela Gualtieri, Chiara Guidi e Ermanna Montanari; una costante affinità nelle differenze, un gesto di formazione e trasmissione; figure sceniche cresciute lì e condivise – Silvia Calderoni che comincia proprio con la Valdoca per poi divenire presenza fondante nei Motus.

Le prime sperimentazioni di Gualtieri e Ronconi erano più «piccole», senza cioè la moltitudine di quei due passaggi che sono stati appunto Ossicine e Fuoco centrale, ma sempre sul bordo alchemico di magia e modernità, qualcosa di antico forse della cultura contadina, il contemporaneo e un soffio universale dell’umano. Cesena laddove il gruppo è nato, è anche la città della Raffaello Sanzio che però nonostante le Feste Pagane dei loro primi anni erano già diversissimi, puntando più al mito. Gualtieri e Ronconi erano invece nella fiaba, in un rito già sonoro, così come dei corpi scenici, che anni dopo troviamo reincarnato nella voce e nella scrittura poetica di Mariangela. «Corpo e poesia sono forse legati proprio dalla voce la quale è ad un tempo fatta di respiro, di sfregamento di carne, e quando interviene la parola, di risonanze e rimandi astratti. L’amatissimo teatro è stato decisivo per la mia nascita poetica e in teatro fin dall’inizio, i miei versi sono nati per essere subito pronunciati da qualche faccia che era lì ad aspettarli. La poesia si è subito incarnata nei corpi, grazie al lavoro di Cesare Ronconi che vuole solo versi per la sua scena» diceva Gualtieri (in una intervista su queste pagine di Alessandra Pigliaru, 2020).Nel tempo il gruppo torna a una dimensione più piccola – continuando a dare voce nei testi poetici di Gualtieri alla mancanza di certezze, alla violenza dell’esistere, a quel rischio della vita tra dolore e tenerezza: parole e corpi che si ritrova nel presente. In tutto questo e in molto altro ci condurranno le due notti di Fuori orario – sabato 20 e domenica 21, Raitre rispettivamente dall’1.40 e dalle 2.45 – curate da Fulvio Baglivi che col titolo Fuoco centrale – Echi dal pianeta Valdoca esplorano la ricerca (e la vita) del gruppo attraverso il suo fare arte, e soprattutto dal punto di vista «eccentrico» delle immagini di Cesare Ronconi. Una serie di film, alcuni legati agli spettacoli che non ne sono però la semplice «ripresa» ma cercano di catturare con il video e gli strumenti dell’immagine, la luce, il tempo, l’immateriale fuori scena: qualcosa che si produce nell’effetto della ripetizione e della distanza.

«Noi bambini noi aghi di pini» (1986)

IL PROGRAMMA, introdotto da una conversazione fra Gualtieri, Ronconi, Baglivi e Lucrezia Ercolani, presenta 10 titoli, tutti in prima visione tv, fra questi il nuovo corto di Ronconi, Come cani, come angeli (2023) realizzato all’interno della mostra Ciò che ci rende umani. Vi appaiono Silvia Calderoni e Nico Guerzoni, Lia e Aurora Sindona, Ida Travi e altri, e i versi di Travi si ascoltano nelle voci che accompagnano le immagini. Dei bambini sorridono quasi in macchina nelle prime sequenze, hanno delle ali come in un gioco. «I fiori sono impazziti … Volevo cantare con loro, Volevo crescere con loro, vivere con loro fra gli attrezzi» dice la voce. I corpi si scrutano, si avvicinano, si accarezzano nella luce che sembra farli evaporare. Il volto della poetessa balena nel buio, è luce anch’esso, mentre risuona la materia della parola: «Nevicava, nevicava, lenta scendeva la neve»: il paesaggio fisico si evoca nel verso, l’immagine ne diviene contrappunto, una sfida e insieme un’invenzione.

DEGLI ANNI Ottanta (e vere rarità) sono Folgorazioni (1986), in cui Ronconi mette in pratica già quel suo «metodo» di filmare e rifilmare le immagini – che costruisce Come cani – con Karin Jourdant, Carolina Talon Sampieri, Gabriella Rusticali, Pierre Renaux. Fine fine è il respiro (1986), istantanee poetiche intorno allo spettacolo Ruvido Umano. Noi bambini, noi aghi di pini (1986) in cui Ronconi si confronta con gli studenti della Civica Scuola di Arte drammatica. MCMXC (Millenovecentonovanta) il decennio che verrà di lì a poco (il film è del 1986) nella promessa giovane di futuro. E ancora L’ultimo ritocco su Eva nascente – Il desiderio del nume di Eva nascente (1985), premiati al festival di Salsomaggiore, in cui Ronconi gioca per capovolgerli con video e messinscena. E la Trilogia di Paesaggio con fratello rotto, l’intimità e il dolore della bellezza delle parole di Gualtieri che soffiano su quel paesaggio stralunato nel quotidiano della vita.

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