Tra qualche settimana Ugo Filisetti non potrà più inviare agli studenti marchigiani le sue lettere su quanto sia bello morire per la patria, sulle «rispettive ragioni» di partigiani e repubblichini e sulla necessità di vivere il periodo scolastico in modo da rendere orgogliosi i propri bisnipoti. Giunto all’età di sessantasette anni, infatti, il direttore dell’Ufficio scolastico regionale dovrà mollare l’incarico, ma la sua carriera non finisce certo così: il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara lo vuole con sé in qualità di consulente tecnico per partecipare ai tavoli su autonomia differenziata e «autorevolezza dei docenti». Giunto ad Ancona nel 2015, è dal 2020 che Filisetti – ex Fronte della Gioventù, sindaco di Gorle in provincia di Bergamo e direttore generale al Miur quando c’era Maria Stella Gelmini – comincia a far parlare di sé per la sua intensa attività epistolare.

È il 4 novembre, giornata delle Forze armate, e il direttore fa arrivare a tutte le scuole una vera e propria chiamata alle armi per gli studenti. Nell’esaltare i patrioti che hanno combattuto nell’ultimo secolo e mezzo, il discorso a un certo punto sale di tono e arriva a esaltare «una gioventù lontana dai prudenti, dai pavidi, coloro che scendono in piazza a cose fatte per dire “io c’ero”». Da qui una citazione di Giovanni Gentile («Un uomo è vero uomo se martire delle sue idee. Non solo se le confessa e professa, ma le attesta, le prova e le realizza») e poi la memorabile conclusione: «Per questo ricordando i loro nomi sentiamo rispondere, come nelle trincee della Grande Guerra all’appello serale del comandante: PRESENTE!». Seguono interrogazioni parlamentari e l’allora ministro Bianchi costretto a chiedere chiarimenti.

Passano pochi mesi, arriva il 25 aprile, e Filisetti celebra la Liberazione a modo suo con una nuova lettera in cui non solo riesce nell’impresa di non scrivere mai le parole «fascismo» e «partigiani» ma arriva addirittura a chiedere di superare «le antitesi disperate» e le «demonizzazioni reciproche», quelle tra i sostenitori del regime mussoliniano e i suoi oppositori. «Quell’immane conflitto – si legge ancora a proposito della Resistenza – ha visto un’Italia scissa e martoriata, un’Italia che si è fronteggiata per le rispettive ragioni, per i rispettivi sogni di cui era carica: uno scontro marcato dal ferro e dal sangue che ha diviso, frantumato». Inevasa la successiva domanda dell’Anpi sul significato dei «sogni» e delle «ragioni» di chi combatté contro i partigiani per il regime di Mussolini.

L’ultimo appello è dello scorso settembre. Filisetti torna a far sentire la propria voce attraverso una missiva di carattere militaresco, probabilmente più adatta al primo giorno di leva in caserma che al primo giorno di scuola. L’esortazione agli scolari questa volta è «all’adempimento del dovere con fede, onore e disciplina» ma anche a «non arrendersi, perché nel tempo a venire i vostri bisnipoti sappiano almeno che ci fu chi non alzò le braccia ma continuò a battersi». E va bene che ogni adolescenza coincide con la guerra, ma non risulta poi chiarissimo cosa si intenda per «battersi» all’interno di un’aula scolastica e perché l’evento dovrebbe essere talmente eroico da rendersi memorabile anche per i propri eredi.

È con questa prosopopea che il provveditore Filisetti si appresta a partecipare alle riunioni volute da Valditara per «restituire autorevolezza alla figura dell’insegnante». Un fatto che non deve sorprendere, però, perché la combriccola chiamata dal governo Meloni per le varie consulenze è piena di personaggi pittoreschi: al ministero della Cultura di Gennaro Sangiuliano, per esempio, dopo aver scartato Morgan, sono arrivati prima il giovane editore Francesco Giubilei – quello che una volta chiese al comune di Roma di rinominare via Tito pensando si trattasse del maresciallo slavo e non dell’imperatore romano – e poi Mogol in qualità di «consulente per la cultura popolare». Che a questo punto si potrebbe pure abbreviare in «Consulpop».