Valdesi, Una dissenziente religiosità: nascita, storia, evoluzione
Ernst Friedrich August Rietschel, statua di Pietro Valdo nel «Lutherdenkmal» di Worms, Germania, 1868: qui in una xilografia pubblicata nel 1877
Alias Domenica

Valdesi, Una dissenziente religiosità: nascita, storia, evoluzione

A Milano, Università Cattolica Nel 1174 Valdo, cittadino di Lione, dà vita a un movimento che intende imitare i primi apostoli: condannato dalla Chiesa, aderirà al calvinismo... Una mostra racconta questi 850 anni
Pubblicato un giorno faEdizione del 27 ottobre 2024

Ha chiuso i battenti a Torre Pellice ma li riapre a Milano (negli spazi dell’Università Cattolica, in via Nirone, fino al 5 novembre) una mostra dedicata alle origini della più antica comunità cristiana non cattolica esistente in Italia: i valdesi. Oggi i valdesi sono noti soprattutto per il forte impegno nel campo socio-assistenziale e del dialogo interreligioso (non è un caso che la mostra sia ospitata all’Università cattolica) e per essere tra i gruppi religiosi più aperti e progressisti in Italia. Meno conosciuta è la loro storia. Certo, alcune date sono note anche al di fuori delle comunità di fedeli e studiosi. Il 1174, ad esempio, di cui si festeggiano quest’anno gli 850 anni (ecco spiegato il perché della mostra).

Fu allora che un cittadino di Lione, di nome Valdo, fece la scelta di imitare la povertà e la predicazione dei primi apostoli, raccogliendo intorno a sé un gruppo di persone che diede vita a un movimento presto condannato dalla Chiesa e quindi costretto alla clandestinità e alla diaspora. Nel 1532 questo gruppo, concentrato principalmente ma non solo nelle valli alpine del Piemonte, aderì alla Riforma protestante, allineandosi in particolare con il calvinismo. Ciò non fece che acuire le persecuzioni ai loro danni. Nella seconda metà del Cinquecento le comunità valdesi residenti in Italia meridionale vennero eliminate fisicamente in nome della necessità di garantire l’uniformità religiosa cattolica della Penisola.

Lo stesso avvenne in un’altra data spartiacque della storia valdese: le «Pasque Piemontesi» del 1655, quando i valdesi del Piemonte vennero massacrati e poi esiliati in massa, suscitando l’indignazione internazionale e portando all’intervento in loro favore del Lord Protettore del Commonwealth britannico Oliver Cromwell. Ritornarono in Piemonte solo col «Glorioso Rimpatrio» del 1689, quando circa un migliaio di loro, sotto la guida del pastore Henri Arnaud, attraversò le Alpi in una marcia epica di circa due settimane e riuscì a riconquistare le proprie terre. Solo il 17 febbraio 1848, Carlo Alberto firmò le «Lettere Patenti» che concedevano ai valdesi piena libertà civile e politica nel Regno di Sardegna.

Ecco, questi sono i momenti cruciali che hanno segnato la nascita, la trasformazione, la persecuzione e infine l’emancipazione dei valdesi, delineando il percorso storico di questa comunità religiosa. La storia però non è solo ricostruzione, ma anche costruzione e quella valdese non fa eccezione. Attraverso una scelta accurata dei più rappresentativi tra i ‘gioielli di famiglia’ conservati nella Biblioteca e nel Museo valdese di Torre Pellice, i curatori della mostra Marco Fratini e Samuele Tourn Boncoeur (con la collaborazione di Daniel Toti), mostrano alcune tra le più importanti voci che, dal medioevo a oggi, animarono un dibattito internazionale sulle origini e gli sviluppi del valdismo – un dibattito spesso molto lontano da come andarono le cose in realtà.

La prima sezione offre una ricostruzione della figura di Valdo di Lione – figura sfuggente, di cui non abbiamo nemmeno un ritratto affidabile – e lo fa attraverso le testimonianze storiche certe, databili tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo. La seconda sezione, probabilmente la più interessante, mostra invece le dinamiche con cui nei secoli la figura di Valdo, ma soprattutto quella del movimento religioso da lui originatosi, furono soggette a interpretazioni strumentali o a vere e proprie manipolazioni da parte dei più diversi gruppi religiosi: non solo i cattolici, ma anche i protestanti e in fondo i valdesi stessi. Questi episodi di invenzione della tradizione valdese avvennero in risposta al diffuso bisogno di costruire nuove identità confessionali e nuove storie nazionali soprattutto a seguito della Riforma protestante. Fu in quel momento, infatti, che i protestanti dovettero ribattere alle accuse della Chiesa cattolica di non essere altro che una novità, che aveva rotto una comunione millenaria. Per rispondere a queste accuse e dimostrare l’esistenza di fermenti evangelici lungo tutta la storia della Chiesa, i valdesi divennero una risorsa ideologica importantissima, una tradizione sotterranea e dissenziente altrettanto lunga della successione apostolica della Chiesa di Roma a cui poteva dunque essere contrapposta.

Fu così che Valdo di Lione divenne Pietro Valdo, un falso storico colossale. Da qui derivò anche una produzione torrenziale di opere che esaltavano l’antichità della Chiesa valdese, spingendone le origini addirittura più indietro del Medioevo. Se per il successore di Calvino, Theodore de Bèze, i valdesi erano «restes de la pure primitive Eglise Chrestienne», altrettanta diffusione ebbe il cosiddetto Mito silvestrino, che collocava gli esordi dei valdesi nel IV secolo d.C., quando papa Silvestro, accettando il potere temporale dalle mani dell’imperatore Costantino, avrebbe tradito la via della povertà mantenuta dalla Chiesa sino a quel momento. Non così i valdesi, che invece sarebbero rimasti fedeli alla pura tradizione cristiana delle origini.

Già, ma allora perché si chiamano valdesi? Il pastore Jean Léger, nella sua influente Histoire générale des églises évangelique des vallées de Piémont ou vaudoises (1669), diede, come si vede fin dal titolo, una risposta geniale: i valdesi si chiamavano così perché abitavano nelle valli e fu proprio per aver seguito la loro dottrina che Valdo di Lione prese quel nome. Un bel rovesciamento, non c’è che dire, a cui alcuni non abboccarono. Tra questi il vescovo di Meaux e precettore del Delfino di Francia Jacques-Bénigne Bossuet, che nell’Histoire des variations des églises protestantes mise la pietra tombale su questa leggenda: «I protestanti si richiamano ai valdesi, i valdesi a un presunto compagno di san Silvestro; l’una e l’altra associazione sono fantasiose». Pietra tombale per i dotti della république des lettres, perché tra i fedeli tali leggende sopravvissero a lungo, cementando un senso di coesione comunitaria e l’orgoglio di aver resistito per secoli a persecuzioni di ogni sorta. Ancora nel secolo scorso nelle valli valdesi del Piemonte poteva capitare di incontrare chi era convinto di discendere da una comunità convertita da San Paolo in persona sulla via di un suo viaggio in Spagna e rimasta per secoli immune dalla corruzione papista grazie al fatto di essere sempre vissuta in luoghi impervi e difficilmente accessibili.

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