Cultura

Vajont, mappa visiva per la memoria

Vajont, mappa visiva per la memoria«Echo» di François Deladerrière, 2015-2024

Mostre Un progetto artistico multidisciplinare, a cura di Laura De Marco allo Spazio Labò di Bologna: paesaggi feriti, alberi resistenti, volti di superstiti e finestre sulla montagna franata

Pubblicato un giorno faEdizione del 5 ottobre 2024

«9 ottobre 1963, ore 22.39. Il rumore indescrivibile, il tremore che fa oscillare le montagne, il terrore che ti entra nel corpo e nell’anima, pochi attimi ed è l’apocalisse». È il ricordo indelebile di Marcello Mazzucco, all’epoca cinque anni e mezzo, sopravvissuto alla catastrofe del Vajont: duemila morti in pochi minuti, travolti dall’onda provocata da milioni di metri cubi di roccia franati dalla montagna nel bacino idroelettrico artificiale della diga. Oltre alle testimonianze, il tariffario dei risarcimenti, in cui la perdita del coniuge e del figlio corrispondono a due milioni, mentre quella di zii, nipoti, nonni anche se conviventi, non valgono nulla.

TUTTO QUESTO, insieme ai materiali di archivio e alle fotografie di Céline Clanet, Jan Stradtmann, François Deladerrière, Petra Stavast, Gianpaolo Arena e Marina Caneve, possiamo trovarlo nella mostra Calamita/à an investigation into the Vajont catastrophe curata da Laura De Marco a Spazio Labò di Bologna (visitabile fino al 13 dicembre).
Paesaggi feriti, alberi resistenti, volti di superstiti, finestre che inquadrano la montagna franata davanti. Un progetto artistico multidisciplinare iniziato nel 2013 a cura di Gianpaolo Arena e Marina Caneve. Luoghi reali ed evocati, una mappatura per fare memoria, a più di sessant’anni di distanza, su una tragedia emblematica nella storia del nostro paese, tanto che nel 2008 le Nazioni Unite l’hanno dichiarata come un caso esemplare di disastro evitabile.

UN EVENTO che oltre a ricordare il passato ci parla di presente e futuro, mentre le alluvioni e i disastri naturali sono sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico, ma anche dell’incuria dell’uomo, della sottovalutazione dei rischi ambientali, e di scelte politiche ed economiche spregiudicate.
«Nel 2013 circa cinquanta artisti fra urbanisti, illustratori, scrittori, fotografi, hanno lavorato a progetti site specific, con il risultato di offrire una visione collettiva e diversificata raccolta nel libro autoprodotto nel 2016 The walking mountain», spiega Marina Caneve, curatrice e autrice. «Con un gruppo di sei poi abbiamo deciso di portare a termine altrettanti progetti a lungo termine. Ne è nato anche il vinile Landslide, realizzato da Gianluca Favaron e Stefano Gentile, con l’etichetta discografica Silentes, a partire dai suoni delle frane», aggiunge.

FRA GLI SCATTI c’è il bosco vecchio, franato insieme alla montagna, con gli alberi rimasti in orizzontale e ricresciuti dai tronchi, dimostrando la forza di rinascere e ricominciare come hanno fatto le persone. Allo sguardo intimista di Petra Stavast, che ha lavorato con i superstiti che per primi sono tornati illegalmente a vivere nelle loro case a Erto e Casso, dove le autorità avevano proibito di tornare, anche se agibili, per questioni legate al processo si uniscono le storie di Edoardo Semenza, geologo figlio di Carlo, ingegnere che costruì la diga, per primo incaricato di tracciare i segni della frana e quella del muro della vergogna costruito per impedire agli abitanti di rientrare e di cui c’è traccia solo negli archivi. Jan Stradtmann, che si muove in una dimensione più cinematografica, mostra l’immagine di una scenografia del film di Renzo Martinelli Vajont – La diga del disonore lasciata come una sorta di monumento nel nuovo paese di Vajont.
«I miei scatti nascono da un’esperienza personale – continua Caneve – chiunque nato fra gli anni ’80 e ’90, in aree limitrofe, ha sentito parlare del Vajont a scuola. Mi sono ricordata di un tema delle medie infarcito di banalità. Ho ripensato a come mio padre e mia madre, abitanti di due comuni limitrofi, abbiano custodito una memoria diversa. Uno abitava al livello del fiume Piave, l’altro più in altezza e la loro visione è molto diversa, partendo da queste discrepanze ho cominciato a lavorare sugli errori di prospettiva nel racconto della catastrofe».
La mostra bolognese è accompagnata da un catalogo, pubblicato da FW: Books, uscito da pochi giorni.

Celine Clanet, Una notte, la montagna è caduta (2015-2024)

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