Vaghi tempi e spazi a Bilbolbul
Fumetti Omaggio a due grandi artisti stranieri nella rassegna emiliana giunta alla tredicesima edizione: Chris Reynolds e Alberto Breccia
Fumetti Omaggio a due grandi artisti stranieri nella rassegna emiliana giunta alla tredicesima edizione: Chris Reynolds e Alberto Breccia
Fra le varie mostre allestite in occasione della 13° edizione di Bilbolbul, festival internazionale del fumetto a cura dell’associazione Hamelin (29/11-1/12), quelle dedicate a Alberto Breccia e a Chris Reynolds interrogano, nella marcata diversità, l’incertezza del tempo e dello spazio. Il primo ha interpretato lo specifico culturale sudamericano, fra popolare e avanguardia, attraversando una Storia vulnerabile troppo segnata da dittature sanguinarie. Il secondo ha esplorato in due tempi, con un quasi ventennale intervallo silente in mezzo, l’impalpabile spaesamento dell’individuo nell’opulenta democrazia occidentale. Lo spaesamento come condizione costitutiva del presente è infatti il perno dichiarato attorno a cui si organizza il festival.
Alberto Breccia è stato sul piano grafico fra i più raffinati sperimentatori della gloriosa scuola di fumettisti argentini. Seppur nato cent’anni fa in Uruguay, è a Buenos Aires che ha vissuto dall’infanzia alla morte (1993) e dove ha espresso e impresso un segno artistico notevole alle historietas. Come altri maestri di Baires dagli anni ’50 in poi, sapeva trovare un proprio equilibrio fra pratiche alte e produzioni popolari, fra fumetto seriale e quello d’autore. Alla continua ricerca di nuove frontiere stilistiche, alternando e mescolando tecniche che spaziavano dal disegno a china al collage, dalla pittura alle fotografie ritoccate, Breccia ha percorso generi e narrazioni con approccio colto e impegnato. Dopo la fase iniziale dedita all’umorismo e a storie di genere, e integrando la sua attività fumettistica con l’apertura di un’agenzia pubblicitaria e di una scuola di disegno, raggiunge un suo primo livello di maturità collaborando con Hector G. Oesterheld (L’Eternauta) e seguendo i consigli di Hugo Pratt (Corto Maltese), che visse 13 anni in Argentina, dal 1949 al 1962. Con il primo, tristemente noto anche per essere stato un illustre desaparecido sotto la dittatura militare, Breccia inizia disegnando la serie Sherlock Time (1958).
Come suggerisce il titolo, il protagonista è un investigatore del tempo e dello spazio. Sintesi fra uomo d’azione e studioso, forte e prestante con i tratti squadrati tipici del periodo, Time vive in una torre-astronave e difende gli umani dai prelievi forzati a fini di analisi da parte di extraterrestri predatori. Le immagini dai forti contrasti fra bianco e nero denso di china rappresentano un salto evolutivo nello stile dell’autore.
Ancora una serie di spiazzamento dimensionale lo si ha nel 1962 quando Oesterheld e Breccia realizzano il tenebroso Mort Cinder. Protagonista è un uomo misterioso impossibilitato a rientrare nel suo mondo che narra a un anziano antiquario (con le fattezze dello stesso Breccia) le sue precedenti vite nei secoli. Scrive in proposito Daniele Barbieri nel suo volume Maestri del fumetto (Tunué, 2012): «Breccia è acutamente consapevole di quello che fa e sa benissimo di stare facendo il contrario di quello che si dovrebbe fare: complica l’immagine, infatti, invece di semplificarla. […] il suo disegno complicato è insieme ricchissimo di suggestioni ed evocazioni, e in questo contesto visivo ciascun momento del racconto sembra alludere a mille altre cose, a mille altre emozioni». In effetti la realizzazione artistica e quindi la lettura sono tutt’altro che veloci, con un preciso lavoro di pennello, macchie di china e biacca che va oltre le normali esigenze di un fumetto seriale.
Quello del viaggio nel tempo è un tema che incrocia più volte la carriera di Breccia, già nel 1938 con uno dei suoi primi personaggi realistici, Rosengram, di cui scrive anche il testo. Poi come si vede insieme a Oesterheld sia in Sherlock Time che nel rifacimento più espressionista e politico del primo episodio de L’Eternauta (1969, pubblicato in Italia su Linus tre anni dopo), la cui prima versione fu disegnata nel ‘57 da Francisco Solano López.
Sempre su sceneggiatura di Oesterheld, Alberto Breccia disegna nel 1968 con il figlio Enrique La vita del Che. Considerato scomodo per il potere dittatoriale argentino, l’opera viene sequestrata e le tavole originali sono messe al rogo. Ancora avanti per stile e tecnica iconografica e sempre più avverso a ogni forma di dittatura, nel 1985 realizza Perramus scritto da Juan Sasturain. Qui protagonista è un uomo senza memoria che desume il proprio nome dall’etichetta della giacca che indossa e che si ritrova in una società oppressa dal totalitarismo. Per capire la sua identità e la realtà che lo circonda, Perramus si fa guidare personalmente dallo scrittore Borges, insignito per l’occasione di premio Nobel. Si tratta di un ulteriore progressione stilistica che mescola umorismo surreale e realismo politico, intrecciando personaggi fittizi e reali come Borges, Kissinger, Peron, Joyce e Gardel. L’opera ottiene il premio Amnesty nel 1989 come miglior libro in favore dei diritti umani.
La mostra Alberto Breccia.Il signore delle immagini a cura di Daniele Brolli resta aperta presso la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna fino al 7 gennaio.
C’è tanto di niente, di silenzio, solitudine, desolazione nei fumetti di Chris Reynolds (Galles, 1960). Graficamente spesse, quasi funeree nei contorni neri marcati, le vignette di Un mondo nuovo. Fumetti dalla Mauretania (Tunué, 2019, 276 pp. b/n, cartonato, €24,90) conferiscono una spiazzante solidità all’incertezza. Vaghe nozioni del tempo, collocazione spaziale intuibilmente sul pianeta Terra abitato da chissà chi, si segue per lo più delle non-trame di cui ogni riquadro pone più domande di quante ne risponde. E in questo vagare assente di gravità narrativa il lettore si lascia trasportare senza fretta, indugiando sulle suggestioni di segni e parole, come in un gioco a scomparti da decifrare durante il percorso. Enigmatica e onirica, la dimensione del non-luogo Mauretania è un puzzle irrisolto in forma di fumetto.
A volte aiuta entrare in un protagonista, ma il più riconoscibile fra quelli disegnati da Reynolds è un tipo con casco di nome Monitor. Non lascia trasparire mai un’espressione o un’emozione, non gli si vedono mai gli occhi ed è totalmente impenetrabile. Forse vede tutto senza farsi vedere, forse è chiuso in un proprio mondo (ma quando nacque non c’era nemmeno l’alibi della realtà virtuale o aumentata). Di Reynolds l’editrice Penguin pubblicò Mauretania nel 1990 (tradotto in Italia da Feltrinelli nel ’92, per entrambi le case un esordio nei comics d’autore), poi la scomparsa artistica per ricomparire ora. L’autore canadese Seth scriveva entusiasta che si tratta del «fumettista più sottovalutato degli ultimi vent’anni».
La mostra Giorni nuovi…E migliori? presso lo Spazio B5 (vicolo Cattani, 5/b) resta aperta fino al 20 dicembre.
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