Fra le tante storie che rendono popolare il ciclismo, campioni, imprese al limite dell’umano, cadute drammatiche, vittorie rubate con l’imbroglio del doping, carriere indimenticabili, duelli storici, ce ne sono alcune che restano sotto traccia, ma sono portatrici di un grande valore simbolico.
Lo scorso 1 luglio è cominciato il Tour de France che è partito dai Paesi Baschi, due tappe di percorsi duri, strade che si inerpicano fino al 10% di pendenza, discese che possono diventare fatali, come è successo al recente Giro della Svizzera a Gino Mäder, morto dopo essere uscito di strada a 90 all’ora.

In questo territorio ricco di foreste, cascate, storia e orgoglio, il Tour è passato vicino a Eibar, città con un’importante storia di resistenza al franchismo, come tutta la regione basca, e una secolare tradizione metallurgica che si specializza nella produzione di armi, tant’è che viene chiamata Ciudad armera (Città degli armaioli). L’industria nei secoli si evolve, passa all’acciaio, fucili e pistole sono sempre più richiesti. In questa scia tre fratelli fondano nel 1840 la Orbea Hermanos. La loro fabbrica cresce, arma il governo spagnolo, la polizia di New York, con la prima guerra mondiale la domanda di armi si espande finché nel 1930 qualcosa cambia. Il mercato frena. Che fare? Chiudere o riconvertirsi?
A questo punto nasce l’idea che, oltre a mantenere le attività e l’occupazione, trasforma letteralmente l’immaginario e il senso di quel lavoro perché parte dell’industria si converte da fabbrica di armi a fabbrica di biciclette. Insomma, se erano capaci di assemblare un revolver, si sono detti, non doveva essere così difficile imparare a saldare due tubi con sotto due ruote.

Il passaggio dalle pistole alle biciclette non è immediato, prima ci provano con carrozzelle e carrozzini, ma le bici sono più popolari e richieste. Anche il protezionismo aiuta l’industria. Dopo la seconda guerra mondiale, in Spagna si poteva comprare una bici solo se era interamente prodotta in loco. Alla fine del 1969 c’è un’altra crisi, le vendite rallentano, l’azienda fallisce ed è a questo punto che gli operai prendono l’iniziativa. Chiedono alla dirigenza di cedere loro il marchio, i dipendenti diventano soci e la Orbea riparte come cooperativa che negli anni si evolve intuendo le grandi potenzialità del ciclismo su strada. Investe in ricerca e innovazioni tecniche, i telai passano dall’acciaio, all’alluminio, al carbonio con modelli che diventano sempre più performanti fino a vincere due medaglie d’oro alle Olimpiadi di Pechino.
Oggi le bici Orbea sono usate da molti professionisti e così ambìte che, durante il recente giro di Slovenia, la squadra che le montava, la Euskatel Euskadi, ha dovuto ritirarsi perché in una notte hanno rubato tutte le biciclette.
Qualcuno, commentando queste vicende, mentre il Tour passava vicino a Eibar ha detto che sarebbe bellissimo se, nel mondo, tutte le fabbriche di armi si convertissero in fabbriche di biciclette. Pedalare anziché sparare, contendersi un primato su una salita invece che al fronte, sudare anziché ferirsi o ammazzarsi, imparare a rimontare una catena anziché il caricatore di un mitra, rappezzare una gomma bucata invece di indossare una mimetica, sputare il fiatone anziché sangue, niente più proiettili ma solo salite, perché fateli voi, guerrafondai, duecento chilometri su e giù sotto il sole e la pioggia, e poi vediamo chi è più eroico, se uno che toglie per sempre la vita a un altro o uno che scende da un tornante a rotta di collo con indosso solo una tutina elastica e un caschetto.

mariangela.mianiti@gmail.com