Italia

Ustica, storia di una strage negata per 40 anni

Ustica, storia di una strage negata per 40 anniIl relitto del Dc9 Itavia all’interno del Museo per la Memoria di Ustica di via Saliceto a Bologna

Misteri d’Italia Il 27 giugno 1980 il Dc9 Itavia in volo da Bologna a Palermo scompare dai radar: 81 morti che aspettano ancora giustizia

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 26 giugno 2020

Domani ricorre il quarantennale della strage forse più singolare della storia italiana. Quarant’anni sono un tempo troppo lungo per essere scandito da un’unica e spaventosa costante: la negazione degli eventi da parte di chi poteva chiarire subito come e perché erano morti 81 nostri concittadini, pochi secondi prima delle 21 nel cielo tra le isole di Ponza e Ustica.

Ricostruire l’intera vicenda in poche righe è impossibile. Perciò abbiamo scelto di affrontare quello che, ai fini pratici (colpevoli, condanne, risarcimenti) è ancora un mistero, secondo un punto di vista e due approcci: lo scenario geopolitico in cui tutto succede, sbarrando la strada alle sirene militari che tutt’oggi cantano «una bomba, è stata una bomba», e utilizzando solo dati di fatto.

IL DC9 ITAVIA, decolla da Bologna con quasi due ore di ritardo (motivo per cui è impossibile ipotizzare una bomba con detonatore a tempo) diretto a Palermo (fatto). Qualche minuto prima delle 21 ora locale, annuncia al radar di Roma Ciampino che prenderà contatto con l’assistenza al volo di Palermo per la discesa e poi scompare dalle consolle di tutti i radar interessati all’area. L’ultima frase registrata sul voice recorder di bordo, messa di recente in chiaro da Rainews24, recita: «Guarda..cos’è» e poi il silenzio. La frase è pronunciata dal copilota, Fontana, che siede a destra in cabina.

Il tracciato radar di Ciampino, tradotto su carta, mostra una evidente manovra di attacco da parte di un caccia militare proveniente da ovest che taglia la rotta del Dc9 a 90° verso est (fatto, ribadito da tutti i periti radaristi italiani più due esperti americani, Macidull e Transue). In questo caso, sarebbe stato proprio il copilota a trovarsi il caccia in arrivo sul suo lato, «guarda…cos’è». Subito dopo, il Dc9 perde la qualifica di aereo e diventa, per i radaristi un oggetto in caduta libera (fatto). Il maresciallo Luciano Carico in servizio al radar di Marsala lo dirà, in contraddittorio con tutti i suoi colleghi: «Vidi la traccia del Dc9 decadere e diedi l’allarme».

ALLARME NEGATO, è utile ricordarlo, dall’Aeronautica militare a tutti i suoi livelli, fino al giorno in cui il giudice Rosario Priore trova le conversazioni telefoniche tra i vari siti radar della difesa aerea e scopre che le dichiarazioni rilasciate fino a quel momento al magistrato che l’aveva preceduto erano tutte (o quasi tutte) bugie (fatto).

Bene, ma che cosa poteva essere successo di così indicibile da convincere un’intera forza armata a negare giustizia per 81 suoi connazionali, civili, quelli che aveva giurato di difendere con le unghie e con i denti a costo della propria stessa vita?

Spostiamoci allora sullo scenario geopolitico del tempo, cominciando dall’Italia. Noi eravamo tirati a molla tra l’obbedienza al patto atlantico e il petrolio libico. La divisione, che vide scontri feroci, si riproduceva all’interno della politica. Avevamo un presidente del consiglio (Cossiga) filoatlantico e un ministero dell’automobile (la Fiat, all’epoca) che aveva Gheddafi in consiglio d’amministrazione con il 13% del pacchetto azionario. La divisione si riproduceva, come è ovvio, anche tra i militari, i servizi segreti, eccetera.

IL MEDITERRANEO era il nuovo fronte dello scontro tra i blocchi. L’Egitto aveva appena abbandonato il campo sovietico e aveva abbracciato quello americano (fatto). Uno dei motivi di questo cambiamento era il vicino turbolento e troppo forte di cui temeva le mire. Gheddafi. Gli Usa non vedevano l’ora di toglierlo di scena, la Francia anche e per parecchi motivi (non ultimo lo scontro per il Ciad) e l’Inghilterra ugualmente, visto che lui gli aveva fatto bruciare l’ambasciata a Tripoli.
Insomma, quattro paesi e mezzo (l’Italia) lo avrebbero voluto volentieri morto. Però, metà di uno dei paesi, no.

Ora, torniamo ai dati accertati per le giornate che ci interessano. Il 26 giugno, la hostess dello stesso volo Itavia ma sulla tratta inversa, cioè Palermo-Bologna, all’altezza di Napoli vede insieme al pilota sotto di loro una portaerei che naviga in formazione, con le navi di protezione.

Il 27 giugno però, se si ascoltano le dichiarazioni delle varie marine militari, tutte le portaerei riposavano. Le francesi in porto a Tolone da tempo, l’americana Saratoga in porto a Napoli arrivata secondo il registro della capitaneria il 23 giugno, le inglesi altrove.

QUALCUNO mente, perché fin dai primi minuti dopo la scomparsa del Dc9, i radaristi militari di mezza Italia si scambiano telefonate cercando una portaerei, telefonando all’ambasciata Usa in piena notte, parlando a più riprese di caccia, persino arrabbiati perché non danno loro risposte.
E infatti i caccia c’erano. I francesi, decollati fino a tarda notte dalla base corsa di Solenzara. Gli americani, secondo il marinaio Brian Sandlin e, ora, secondo alcuni militari italiani in servizio alla base di Grazzanise (Caserta) che avrebbero raccontato ai pm attuali di uno «scramble», un decollo in allarme, diretti verso una portaerei lì davanti.

E gli inglesi. Sì gli inglesi che quatti quatti finora hanno taciuto. I british erano a Decimomannu impegnati fino a tardo pomeriggio in una esercitazione di rifornimento in volo denominata Patricia. Dal materiale consegnato ai giudici dalla Nato, risultato un discreto numero di aerei di sua maestà proprio nei minuti a cavallo dell’incidente (fatto). Infine, a Gioia del Colle in Puglia, c’erano Phantom tedeschi. Insomma, a pensar male ci sarebbe da intravedere un’operazione in corso probabilmente contro il leader libico.

Anche perché, sempre in quel frangente, era previsto il transito di un F111 proveniente dalla base inglese di Lakenheat diretto a Grazzanise, cancellato (ma davvero?) all’ultimo minuto (fatto).
Tutto ciò mentre era in pieno svolgimento il ponte aereo dalla Germania al Cairo per l’Operazione Proud Phantom, cominciato nella giornata del 26 giugno. Tre ore dopo che è caduto il Dc9, infatti, sulla stessa rotta del dell’aereo Itavia passa un C-141 Starlifter, un bestione che porta le attrezzature necessarie ai Phantom in arrivo dalla base Usa di Moody (fatto).

E vogliono farci credere che non è successo niente, alle 21 del 27 giugno 1980, tra Ustica e Ponza. Niente.

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