Visioni

Ustica: sabbia e polvere sulla memoria

Ustica: sabbia e polvere sulla memoriaUna scena da «Dc vero»

Eventi 40 studenti e 10 restauratori cercano la «verità» nella performance: «Dc vero?» presentata a Bologna e Palermo

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 2 luglio 2019

«Durante le prove a Palermo fingevo l’emozione, provavo a immaginare, ma aver visitato il Museo per la Memoria di Ustica, dove c’è un’aria realmente pesante e le luci che non si spengono mai, mi ha aiutato tantissimo. Almeno ora non fingo più, mi ricordo quello che provo là dentro e lo metto nello spettacolo». Eleonora frequenta il liceo scientifico Galilei di Palermo e insieme ad una ventina di compagni è arrivata a Bologna per portare in scena, insieme ad altri venti allievi del liceo scientifico Copernico della città emiliana, la performance spettacolo Dc vero? nel giardino antistante il museo, il 27 giugno scorso (replicata il 30 giugno a Palermo), in occasione del XXXIX anniversario della strage del DC9 Itavia, partito da Bologna con destinazione Palermo, abbattuto durante un episodio di guerra aerea e precipitato al largo dell’isola, in cui hanno perso la vita ottantuno persone. Una rassegna di appuntamenti che si rinnova ogni anno intorno al museo che dal 2007 ospita e conserva il relitto del velivolo nell’installazione permanente di Christian Boltanski, voluta dall’Associazione dei Parenti delle Vittime presieduta da Daria Bonfietti. Verità e memoria sono le parole chiave di tutti gli spettacoli che attraverso l’arte affrontano la narrazione della strage.

Dc vero? – un poetico atto unico per 40 ragazzi e 10 restauratori novelli -, che già nel gioco di parole evoca la sigla dell’aereo e al tempo stesso un modo di dire palermitano che sta per dici la verità? Dici davvero?, in cui quel vero sottintende tutti i tentativi di insabbiamento dei fatti. E proprio la sabbia, o meglio la polvere, depositata sulla carlinga oltre che metaforicamente sulla giustizia e la storia, è la grande protagonista e ispiratrice di questo lavoro. Tutto è nato dall’incontro del regista teatrale Bruno Cappagli, de La Baracca – Testoni Ragazzi, con dieci restauratori, allievi dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, che nel 2018 si sono occupati della manutenzione del relitto. Un lavoro emotivamente pesante e impegnativo. Le considerazioni di quei giovani, a contatto per molti giorni con la carcassa ricostruita minuziosamente e adagiata nel museo, hanno dato vita ai testi che sono stati l’ossatura su cui il regista ha costruito lo spettacolo. Il progetto è stato il frutto di un lungo percorso didattico ed educativo iniziato a febbraio con i ragazzi di Bologna e Palermo, finanziato dal MIUR e svolto grazie alla collaborazione con l’Università di Bologna e l’area didattica del museo MAMbo e di laboratori sulla storia e la politica degli anni ’80 curati dall’Istituto Parri, incontri con la presidente Bonfietti e con Libera sul tema della legalità.

OLTRE ai laboratori teatrali tenuti a Bologna da Cappagli e a Palermo da Salvo Dolce del Teatro Libero. Insieme a un importante lavoro originale sul tessuto sonoro, con frammenti elaborati fino alla distorsione e il campionamento di suoni che derivano dalla pulizia degli strumenti, curato da Linda Tesauro del Museo Internazionale della Musica con gli studenti del liceo musicale Lucio Dalla. I quaranta studenti hanno interpretato i testi dei restauratori e la polvere, reale e simbolica, che avvolge e copre il velivolo, appare fin dalla prima scena quando i ragazzi la lanciano in aria per poi iniziare a ripulirla. Mentre svolgono questo lavoro meticoloso scoprono l’impronta di una mano e questo cambia tutto: dallo sforzo di eseguire il lavoro con distacco, la riflessione che in quell’abitacolo c’erano uomini e donne che non sono mai arrivati. L’approccio si fa più faticoso. Inizia un requiem con le parole dei desideri delle vittime e dei familiari, un flash di luce simula l’esplosione, poi i notiziari che informano del cedimento strutturale e della bomba, come si disse in un primo momento. Un intermezzo poetico della Dickinson affronta il tema del dolore, sul palco pezzi sparsi dell’aereo scomposto, ogni ragazzo raccoglie il suo. Una pausa spezza il racconto e apre una parentesi leggera.

ANCORA le immagini dei primi telegiornali in una successione convulsa. Silenzio. In una rete da pesca c’è impigliato l’aereo che viene ricomposto. Segue una sequenza serrata sulla verità emersa finora sulla strage, poi la rabbia e l’impegno senza tregua degli irriducibili, i familiari che non si sono mai arresi nella ricerca di giustizia. Ancora polvere e la sagoma del velivolo ricostruito per essere nuovamente scomposto sul proscenio. Un canto liberatorio sulle note di Battiato, un abbraccio collettivo e un addio. Se quindi la memoria è l’asse portante della storia e della ricerca di giustizia, è necessario e fondamentale passare il testimone ai giovani per renderli futuri custodi di tutto questo. L’intero percorso, che ha portato all’esito della pièce teatrale, ha avuto il merito di non rendere i ragazzi «sudditi, ma cittadini», come dice Cappagli, «responsabili e portatori di memoria. Questo è il dono più grande che hanno ricevuto. Un tema caro e su cui insiste molto la Bonfietti» e che conferma Eleonora quando ammette «eravamo in molti a non conoscere questa strage, il laboratorio teatrale ci ha dato l’opportunità di imparare tanto e vedere i resti del DC 9 nel museo. Per merito delle famiglie la verità su questa vicenda si è composta pezzo per pezzo come l’aereo». Simone, bolognese, aggiunge, «c’eravamo già stati, ma vederlo adesso avendo alle spalle il lavoro fatto con il teatro e conoscendo meglio la storia ce lo ha fatto vedere con un’ottica nuova, più forte e densa di significato. Ho capito che con il nostro lavoro cerchiamo di dare voce alla battaglia di persone che dopo trentanove anni non hanno avuto ancora una risposta su quello che è successo ai loro cari e che da allora continuano a chiedere disperatamente verità allo stato che non vuole dirla. Il silenzio ci è stato imposto dall’esterno e noi abbiamo ubbidito, chinato la testa a chi diceva di fare come volevano».

 

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