Buio. Nero. Sette grandi schermi appesi sghembi, inclinati. Lo spettatore viene avvolto dalla mostra. Rumore di esplosione, scorrono le immagini di un bianco e nero definito, saturo. L’opera non si guarda semplicemente, ma ci si trova immersi per seguire una narrazione e rivivere un dramma che riemerge dall’acqua. Una memoria che torna a galla e ogni volta si rinnova, una memoria che si ricompone mettendo insieme i pezzi rotti, incrinati, consumati come quelli della carcassa del DC9 Itavia. È la mostra Nino Migliori. Stragedia che inaugura oggi, nel quarantesimo anniversario della strage di Ustica in cui morirono ottantuno persone, nello spazio dell’Ex Chiesa di San Mattia a Bologna. Una videoinstallazione di circa quindici minuti ideata da Nino Migliori, musiche di Aurelio Zarrelli, sceneggiatura e montaggio video di Elide Blind e Simone Tacconelli, allestimento tecnico di Paolo Barbieri, e curato da Lorenzo Balbi, direttore artistico di MAMbo (museo d’arte moderna di Bologna).

Una serie di immagini che ruotano, tremano, sfumano. Un beep, una luce, un frammento di voce dalla torre di controllo, scatti animati che volteggiano eterei, quasi astratti, sembrano volare come gli ottantuno passeggeri partiti da Bologna il 27 giugno del 1980 e mai arrivati a Palermo. Ottantuno come gli oggetti scelti da Nino Migliori (classe 1926), uno per ogni vittima, come le scritte sulla carlinga e sui singoli reperti, pezzi riconsegnati dalla profondità del mare, croste di metallo accartocciato con gocce d’acqua che li ricoprono in questa ricostruzione che è il risultato di un montaggio, di una partitura visiva e sonora straordinaria. Una danza di immagini a tratti straziante che nello spazio dell’ex chiesa assumono una forte sacralità, sezioni di materiali accompagnate da una musica che sembra una liturgia. Reperti che fluttuano sugli schermi: si avvicinano, si allontanano, a volte sfuocati e intermittenti come sotto l’effetto di una lampada stroboscopica. Oggetti deflagrati che si susseguono come un rosario da sgranare, in sottofondo a tratti il rumore del mare, onde, acqua che gocciola.

TUTTO PROIETTATO su pannelli sospesi obliqui e storti, efficace metafora dell’andamento per nulla lineare della verità in questi quarant’anni, fatto di insabbiamenti e omertà. Metafora che si intravede anche nella luce incerta e flebile della candela che ha illuminato finora a fatica il lungo percorso verso un epilogo per questa estenuante vicenda giudiziaria portato avanti con tenacia da Daria Bonfietti, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Ustica, insieme ai parenti. Migliori ha realizzato gli scatti nel 2007, quando la carcassa dell’aereo non era ancora stata ricomposta per diventare poi l’installazione permanente realizzata da Boltanski, con cui ora Stragedia sembra dialogare e a cui l’una e l’altra rimandano reciprocamente, custodita nel Museo per la Memoria di Ustica. I pezzi erano adagiati sul pavimento di un magazzino in cui Migliori è rimasto chiuso al buio quattro giorni per fotografarli illuminati dalla sola fiamma di una candela. Una tecnica che, dice Migliori, «sollecita le emozioni. Un cero votivo per celebrare e ricordare le vittime innocenti».

UN OMAGGIO ai frammenti di questa stragedia, rafforzativo di strage nella tragedia, come lui stesso l’ha definita, e dedicato alle vittime i cui nomi scorrono alla fine della proiezione. Quella è stata la fase iniziale di un progetto che ha trovato ora compimento, una gestazione lunga, che necessitava di un’installazione complessa, a cui una semplice cornice non avrebbe dato il giusto valore. «Ogni foto è la materia della consunzione» spiega Migliori «sono pezzi astratti e informali scoppiati che a volte non si capiscono. Cerco di trasmettere l’emozione che ho provato. Ho richiamato il ricordo, con rumori, parole, musiche, fotografie. È una visione del dolore, c’è la mia partecipazione personale al dramma dei parenti che ancora aspettano la verità».
Il curatore Lorenzo Balbi parla di un dialogo muto con le vittime stabilito da Migliori alla luce fioca della candela, risvegliando i frammenti adagiati a terra come salme. Balbi, classe ’82, che ha studiato la strage di Ustica sui libri di storia, vede in quest’opera la volontà e la capacità di attualizzare il messaggio, una storia non risolta che «ha ancora molto da dire e da indagare, una mostra che non è memoria di un evento, ma che rende tutta la sua urgente contemporaneità». Potente lo scatto di un frammento di lamiera ricurva che ricorda una bocca aperta in un urlo disperato e alcune tracce sonore dagli audio originali di quella sera conservati dall’istituto storico Parri. La mostra, a ingresso libero e su prenotazione, sarà aperta fino a febbraio 2021 ed è corredata da un bel catalogo. L’inaugurazione sarà il primo appuntamento di una serie di iniziative culturali che da anni si svolgono attorno al Museo per la Memoria di Ustica.