Che sia stato un «missile sparato da aereo ignoto» ad abbattere il Dc9 Itavia inabissatosi al largo di Ustica il 27 giugno 1980 è fatto «ormai consacrato» anche «nella giurisprudenza». Come anche «definitivamente accertato» è la «significativa attività di depistaggio» nelle indagini, nella quale potrebbe rientrare anche il tentativo – riuscito – di addossare «discredito commerciale» sulla compagnia colpita anche da «provvedimenti cautelari» sollecitati «dalla diffusione della falsa notizia del cedimento strutturale» del DC9.

A chiarire il concetto è la Cassazione civile che ha accolto il ricorso degli eredi di Aldo Davanzali, l’anconetano patron dell’Itavia, la compagnia aerea che fallì sei mesi dopo la strage di Ustica. La figlia Luisa Davanzali si era infatti opposta alla sentenza emessa il 4 ottobre 2010 dalla Corte d’appello di Roma nella quale i ministeri della Difesa e dei Trasporti venivano sollevati da ogni responsabilità civile nel fallimento dell’Itavia.

Ora, stabilisce la sentenza 23933 emessa dalla Terza sezione civile di piazza Cavour, spetterà alla Corte d’Appello di Roma verificare se la «situazione di irrecuperabile dissesto effettivamente preesistesse al disastro aereo o se in quale misura fosse determinata o aggravata in modo decisivo proprio dalla riconosciuta attività di depistaggio e di conseguente discredito commerciale dell’impresa» di cui Davanzali era presidente e amministratore.

A 33 anni dalla strage e a otto anni dalla sua morte, si riconosce al patron dell’Itavia il diritto a chiedere un risarcimento allo Stato italiano. Aldo Davanzali, che quantificava i danni patrimoniali e morali subiti allora in 1.700 miliardi di lire, venne di fatto accusato – senza mai subire processo – della morte delle 81 persone (77 passeggeri e 4 operatori di volo). Erano gli anni ’80: la liberalizzazione del mercato del trasporto aereo era ancora gli inizi e una società come l’Itavia, con mille dipendenti, arrancava nella competizione con l’Alitalia e le altre compagnie di bandiera.

Ancora qualche anno prima di morire, Davanzali continuava a sostenere di essere «una vittima non riconosciuta di quel disastro» perché «la tragedia di Ustica non fu dovuta al cedimento strutturale dell’ aereo Itavia, il DC 9 I-TIGI decollato il 27 giugno 1980 alle 20:08 dall’aeroporto di Bologna per Palermo. Il velivolo non era vecchio, nè maltenuto nè tantomeno era stato omesso alcun controllo per la sicurezza dei passeggeri».

Ma poiché anche l’Aeronautica militare parlava di «cedimento strutturale» del Dc9, sostenendo che quei Duglas erano «bare volanti», il ministro dei Trasporti di allora, Rino Formica, con l’appoggio di tutti i gruppi parlamentari, revocò le concessioni all’Itavia in favore dell’Alitalia, cosicché la compagnia perse i contributi pubblici e fallì, come pure le altre sei aziende del gruppo (Itavia Cargo, Sadar-Incop, S.In.Imm., Costa Tiziana, Viaggi del Sole e Thalassa South). Davanzali subì un forte tracollo psichico e in breve si ammalò di Parkinson, morbo che lo rese invalido al 100%.

«Ho pianto, quando l’avvocato mi ha dato la notizia – ha raccontato ieri Luisa Davanzali, appena appresa la notizia – io e mia sorella Tiziana siamo grate alla magistratura che ha emesso una sentenza coraggiosa, doverosa, dopo anni di depistaggi e omertà».

Già nel gennaio scorso la Cassazione aveva riconosciuto ai parenti delle vittime il diritto al risarcimento da parte delle amministrazioni, rigettando il ricorso dell’avvocatura dello Stato contro la sentenza d’Appello che nel giugno 2010 stabilì una cifra pari a 1,24 milioni di euro per due famiglie, ma che venne chiamata a riformulare la quantificazione del danno. Ultima, nella lunga storia giudiziaria, è la sentenza del tribunale civile di Palermo che ha condannato lo Stato a risarcire i familiari di una quarantina di vittime con più di 100 milioni di euro. Si andrà in appello il 21 maggio prossimo.

Eppure la sentenza di ieri riapre necessariamente l’interrogativo politico: chi ha depistato? Una domanda che Daria Bonfietti, presidente dell’associazione dei famigliari delle vittime della strage di Ustica, torna a riproporre: «La Cassazione ha chiarito che ci furono uomini, dentro le istituzioni, che depistarono le indagini sulla strage: è ora che il governo Letta si attivi per chiedere conto ai responsabili del depistaggio». Lo chiede anche il sindaco di Bologna Virginio Merola.

E d’altronde, ricorda Bonfietti, anche Libero Gualtieri negli anni ’90 ripeteva, in commissione Stragi, che «ci sono uomini nei ministeri dei Trasporti e della Difesa che non hanno garantito la sicurezza dei nostri cieli e che dopo la strage hanno attivamente depistato le indagini. Il governo chieda loro perché».