Cultura

Uscire dalla pandemia oltre il neoliberismo

Uscire dalla pandemia oltre il neoliberismo

SCAFFALE La sfida del materialismo sensibile nell’età della prestazione. «Il soggetto imprevisto» di Federico Chicchi e Anna Simone, per Meltemi

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 26 agosto 2022

Il libro di Federico Chicchi e Anna Simone, Il soggetto imprevisto. Neoliberalizzazione, pandemia e società della prestazione (Meltemi, pp. 186, euro 18) rappresenta un’occasione per comprendere come le politiche dei governi contro il Covid non abbiano portato al rilancio dello Stato sociale e ad un redivivo «patto sociale»: un’idea ancora diffusa nel dibattito anche a sinistra. Queste politiche non hanno risolto in alcun modo i problemi della sanità, della scuola o del Welfare e hanno invece rilanciato ciò che gli autori definiscono come «processi di neoliberalizzazione» dell’economia, della società e delle relazioni.

SI PENSI al «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr), un concentrato di tutte le politiche neoliberali presenti e future fondato su un teorema: la libera concorrenza del mercato serve a garantire la giustizia sociale. L’associazione tra concetti opposti e buoni per ogni uso e stagione, «crescita» e «resilienza», serve a rinnovare l’ingiunzione paradossale sulla quale si fonda l’età neoliberale in cui viviamo. Pensare che la concorrenza porti alla giustizia è la conferma che le classi dominanti non hanno alcuna intenzione di cambiare il mondo che ha portato al capitalismo dei disastri.

«Stiamo rischiando di sprecare l’occasione» che il «soggetto imprevisto» ha posto. Il «soggetto» in questione è la pandemia globale, così lo definiscono gli autori che hanno interpretato, in maniera metaforica, la definizione usata da Carla Lonzi per il femminismo. «Soggettivare un virus è difficile – scrivono – eppure secondo noi la sua potenza è stata ed è molto importante perché suo malgrado, questa minuscola ed invisibile entità immateriale, ha saputo rompere il vaso di pandora di tutti i guasti già prodotti dai processi di neoliberalizzazione».

La pandemia avrebbe potuto inceppare il super-egoico principio di prestazione che ammorba le società capitalistiche, togliendoci dal posto individualizzato, mercificato e triste in cui mirano a metterci il principio di concorrenza e l’instabilità generalizzata. E invece no. Siamo stati confinati in una solitudine sbandata, nella regressione recriminatoria e nella passività politica. La successiva violenta ideologia militarista e anti-pacifista, scatenata in occasione della guerra russa in Ucraina, ha rafforzato la gabbia costruita nel biennio precedente.

NON SOLO È STATO RIBADITO l’inganno della promessa di libertà e felicità che dovrebbe discendere dalla «ripresa» del mercato, e dunque dal principio di prestazione al quale tutti dovrebbero conformarsi, ma è stato ribadito un modello di società nella quale non è ammessa alcuna forma di opposizione. E, quando esiste, essa è ridotta al confusionismo, al complottismo o all’identitarismo.
Chicchi e Simone analizzano la fenomenologia del risentimento e dell’angoscia e, in continuità con un volume precedente La società della prestazione (Ediesse), propongono una prospettiva politica basata sulla riscoperta della cultura del conflitto, sull’idea di restituzione e su quella di «materialismo sensibile».

«Tutti i dispositivi della società della prestazione – scrivono – funzionano secondo una modalità che mira a disinnescare e metabolizzare le pratiche di resistenza e di attrito che emergono in seno al capitalismo». Bisogna invece «riconquistare la sensibilità antropologica del conflitto» e dare nuovo respiro «all’idea che la lotta sia un’esperienza, la quale aprendo all’imprevisto, produce la costituzione di un nuovo sentire, fondamentale affinché le trasformazioni sociali non siano solo determinate dall’alto».

IL CORPO È QUI INTESO come un «luogo dell’alterità». Rispetto alle strategie neoliberali che tendono a considerarlo come il luogo del potenziamento psico-fisico in vista della trasformazione della società in un’impresa di se stessi, Chicchi e Simone parlano di un corpo di cui è necessario «conoscere la centralità» al fine di «risignificare il conflitto e far circolare il desiderio». Un desiderio, evidentemente liberato dal diventare «capitale umano» e diretto invece verso la «risonanza», ovvero «una tensione aperta e continuativa tra l’istituire e l’istituito» capace di attivare «un processo generativo di simbolizzazione che produce un orizzonte di alterità e permette così ai corpi di sentire e sperimentare, la gioia dello stringersi del rapporto tra desiderio e godimento».

Il «materialismo sensibile» prospettato dagli autori è «il frutto e la radice di una certa misura tra i corpi». La «misura» risponde all’«ambizioso progetto di ricostruire il legame sociale e la relazione, di fare una società degna di nota, oltre ogni logica io-cratica e performativa». Dare vita alle «nuove istituzioni della cooperazione» significa «ritrovare una dimensione del desiderio». La politica immobile va restituita a questa tensione «emancipativa». Se resta, come oggi, senza tensione perde «il suo obiettivo fondamentale». Il progetto è questo.

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