Ursula Hirschmann, memorie affettive di uno sguardo europeista
SCAFFALE Un libro di Marcella Filippa per Aras ripercorre le scelte politiche e di vita dell’antifascista tedesca. Abita il confino di Ventotene con Ada Rossi, inventa doppi fondi nelle valigie per poter stampare e far circolare le idee federaliste
SCAFFALE Un libro di Marcella Filippa per Aras ripercorre le scelte politiche e di vita dell’antifascista tedesca. Abita il confino di Ventotene con Ada Rossi, inventa doppi fondi nelle valigie per poter stampare e far circolare le idee federaliste
Accostando lo sguardo a talune esistenze se ne ricava la sorpresa multipla di immagini corali, disposte sulla superficie della storia con movimenti da sogno. La vita di Ursula Hirschmann, socialista ed esule, che credeva nella idea di una Europa unita come antidoto alla follia nazista, è una veranda sulla siderale vicenda dell’antifascismo continentale. Ne restituisce bene la ricchezza il lavoro di Marcella Filippa Ursula Hirschmann, come in una giostra (Aras edizioni, pp. 167, euro 16).
IL LIBRO INDAGA materie affettive composite, inventandosi come rilettura parafrasata della commovente autobiografia, Noi senza patria, scritta da Hirschmann fino a quando un aneurisma le spense la parola. Con il fratello Albert, futuro «economista del possibile», aveva conosciuto giovanissima l’esilio a Parigi. Sposa prima Eugenio Colorni e poi Altiero Spinelli, entrambi estensori del Manifesto di Ventotene, la carta che per prima pronuncia il sogno europeo.
Abita il confino di Ventotene insieme ad Ada Rossi, moglie di Ernesto. Inventa doppi fondi nelle valigie per poter stampare e far circolare le idee federaliste. Molte figlie e poche catene per una donna che le lascerà a lungo per un nuovo periodo di erranza politica, tra la Francia e la Svizzera. Crea il movimento federalista che, anni dopo, porterà Spinelli a Bruxelles, a fare leggi nella pancia istituzionale del progetto comunitario.
«Questa società – dice Ursula Hirschmann nelle sue ultime riflessioni – che ai maschi pone una serie di sfide per mettere alla prova le loro capacità, alla donna pone tutta una serie di tentazioni per metter fuori gioco le proprie». Prova rammarico per una vita che ha girato «tutto intorno all’amore», dimenticandosi di sé, diventando docilità all’esclusione, propensione alla gregarietà. Su questo terreno fragile, la parola di Hirschmann è trasparente e profonda e indaga, indomita, il dispiacere per aver partecipato attivamente a un imbroglio che la riguarda: la impercettibile distanza assegnata alle donne che hanno concorso a comporre il progetto politico di affermazione della libertà contro ogni follia totalitaria.
Ursula Hirschmann ha osservato le cose con uno sguardo europeista, nato nella materialità dell’esilio, in fuga dalla Germania di Hitler, cui la socialdemocrazia non seppe reagire, giudicando, con profonda ottusità, il nazismo come un fenomeno instabile e momentaneo. Ha dato al fermento politico una postura annoiata dalle gerarchie dei partiti clandestini e dai giochi di potere che sempre ne nascono. Ha parlato con un alfabeto nuovo, fatto di parole che non conoscono il confine e il limite della tradizione che condiziona. E che poteva dire meglio cosa nasceva di innocente dalle macerie del fascismo.
Da lei, scrive Luisa Passerini in un inserto del libro, «prende avvio l’intento di pensare una nuova cittadinanza europea che abbia a che fare con lo sradicamento e con l’estensione dei diritti – compresi quelli ai sentimenti e alle affettività queer – nella contemporaneità trasnazionale (…). Già Rosi Braidotti aveva indicato che, sulla scorta di Ursula Hirshmann, essere europea oggi vuole dire collocarsi dentro le contraddizioni storiche dell’identità europea, nel suo passaggio da esclusiva e gerarchica a molteplice e aperta come si conviene alla nostra epoca diasporica».
LA STESSA GENEALOGIA dell’Europa, attraverso l’esistenza di Hirschmann, viene qui restituita piena dei suoi particolari sentimentali. Il racconto della Parigi dei fuoriusciti (Angelo Tasca, Nicola Chiaromonte, Federico Chabod, diventarono esuli scavallando insieme il valico dell’Autaret), che la lascia spenta per quella intensità di giochi di posizionamento che si portavano dietro le formazioni clandestine. L’intelligenza Di Renzo Giua, anomalo militante per niente incline alle gerarchie a caccia di libertà nell’avventura di Buenaventura Durruti.
Le parole che Hans Sholl lasciò scritte sul muro della sua prigione a Monaco, prima di essere giustiziato per alto tradimento: «Vivere, a dispetto di ogni male». La vertigine che l’esilio può imprimere al pensiero, perché «senza erramento non ci sarebbe nessuna connessione da destino a destino, non ci sarebbe storia», come ci dice Hannah Arendt, altra singolarità oracolare di un tempo più vicino di quanto pensassimo.
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