C’è una drammatica sequenza nel film inglese Testimony (1988) di Tony Palmer, con Ben Kingsley, dove, nel gennaio 1948, all’assemblea dei Compositori Sovietici, Andrej Zdanov, allora Presidente del Praesidium del Soviet dell’Unione, sale sul palco, prende la parola, straccia e calpesta la partitura manoscritta della IX Sinfonia del compositore Dmitrij Shostakovich, umiliandolo, di fronte a una platea di musicisti attoniti, con pesanti accuse di tradimento del comunismo: sarebbe un lavoro «formalista» dunque reazionario, irrispettoso del proletariato sovietico, con una struttura biecamente avversa agli obiettivi del «realismo socialista» impartiti addirittura da Stalin in persona. Fortunamente, Shostakovich ha in casa un secondo spartito che, alla distanza, verrà considerato una pietra miliare novecentesca, a livello di ricchezza espressiva.

PRINCIPALI FAUTORI
Tutto questo accade veramente in un Paese dove nel 1917 la Rivoluzione d’Ottobre vede i principali fautori, da Lenin a Trotsky, favorire le arti in senso avanguardista e in chiave sperimentale; poi succede che il carattere eversivo, pluralista, anarcoide delle estetiche russe (suprematismo, raggismo, costruttivismo, zaum, neoprimivitismo) vicini agli «ismi» sviluppatisi in quasi tutto l’Occidente (cubismo, espressionismo, dada, futurismo, bauhaus, surrealismo eccetera) fanno paura al nuovo leader, asceso al potere dopo la morte di Lenin e l’allontanamento di Trotsky: Stalin, al di là del personale grigiore in fatto di arte e cultura, rinnega il carattere internazionalista della rivoluzione marxiana, a favore di un isolazionismo social-patriottico da collettivizzazione forzata, in cui ritiene doveroso – quasi un obiettivo primario – normalizzare il mondo artistico-intellettuale mediante un controllo poliziesco assoluto, che attutisce o cancella il libero pensiero.
Stalin e il braccio destro Zdanov, dalla musica alla letteratura, dal cinema al teatro, dall’architettura alle arti figurative, impongono, addirittura con la forza, severissime regole improntate a una poetica – il summenzionato realismo socialista – falsamente rivoluzionaria, e – vista oggi – incline a un neoclassicismo celebrativo, a un naturalismo edificante, un romanticismo propagandista, che smorzano ogni idea controcorrente e ogni progetto innovativo. Con lo spauracchio concreto della galera, dei lavori forzati o, peggio, della fucilazione, molti artisti, obtorto collo, accettano la metamorfosi, trasformandosi da autentici ribelli a opachi funzionari dell’arte unica stalinista, nazionalisticamente istituzionalizzata.
Il cambiamento risulta traumatico in poesia, narrativa, regia, pittura, dove i contenuti devono essere chiari, espliciti, lampanti; nella musica, linguaggio asemantico per antonomasia, la questione appare più sfumata, anche se risulta lampante l’attacco alla «forma», con il passaggio da sonorità di ricerca a ricalchi del passato conformi ai diktat del regime; sono emblematici in tal senso i casi di due compositori, Alexandr Mosolov e Sergej Prokofiev: il primo, negli anni Venti, propone una musica radicalmente futurista che abbandona per dedicarsi a scritture dalle venature folcloristiche o alle orchestrazioni di canti popolari; il secondo, già personaggio cosmopolita, amato e rispettato, in giro per il mondo, decide di risiedere in Urss, accettando una sfida per lui inedita (ma già nell’aria ovunque), che lo porrà al riparo da ingiurie o critiche: l’adozione di uno stile neoclassico, nei lavori strumentali e operistici, segue un trend mondiale adeguandosi al cosiddetto «ritorno all’ordine» che contrassegna tutte le avanguardie fra le due guerre.

RESTARE A PARIGI
A tal proposito è proverbiale l’esempio del connazionale Igor Stravinskij il quale, durante i moti del 1917, preferisce rimanere a Parigi (e poi a Los Angeles): rivoluzionario in musica prima della Rivoluzione e prima che la dodecafonia viennese prevalga nei cuori degli intellettuali comunisti europei (anch’essi poi esuli in America), Stravinskij è il principale responsabile del neoclassicismo musicale, che egli stesso «tradirà» per l’ennesima conversione avanguardista, ma che paradossalmente influenzerà l’intera scuola sovietica, senza venir mai menzionato: anzi Igor in Unione Sovietica verrà sempre tacciato di «formalismo», dunque un imperialista, antidemocratico, controrivoluzionario. Il regime tace però su Sergej Rachmaninov, la cui decisione di vivere all’estero ricalca quella stravinskiana, benché la musica composta, popolarissima all’epoca, rifletta un tardo-romanticismo (tanto virtuoso quanto prevedibile), copiato a man bassa dai lacchè dello zdanovismo. Al di là di Mosolov e Prokofiev, di Stravinskij o Rachmaninoff, la musica russa è persino votata alla ricerca elettronica, con i pionieristici studi di due ingegneri Yevgeny Murzin e Léon Theremin che in parte operano indisturbati in solitari laboratori (spesso casalinghi), «liberi» di inventare purché non suscitino troppi clamori mediatici (giunti solo post mortem e post Urss).
Per Murzin, attivo già negli anni Venti, occorrerà aspettare addirittura il 1966 quando a Mosca un gruppo di artisti e scienziati apre lo Studio Sperimentale di Musica Elettronica, nella cantina del vecchio appartamento del geniale compositore Alexander Scriabin; in questo luogo pericoloso, in bilico sul filo della legalità sovietica, la casa discografica Melodiya allestisce qualche macchinario di invenzione scriabiniana con l’intento di incidere i lavori sperimentali dedicati alle relazioni tra luce, suono e colore; sopravvissuto alla censura, il dispositivo ottico di Scriabin concepito per accompagnare la Sinfonia del fuoco con giochi luminosi e ombre colorate è fonte ispirativa per lo stesso Murzin, padre del sintetizzatore di suono foto-elettronico ottico Ans, concepito a lungo, dal 1937 al 1958, quindi installato presso lo Studio: l’Ans – acronimo di Alexander Nikolayevich Scriabin – permetterà in tal senso la realizzazione di numerose opere, concedendo ai compositori la possibilità di sperimentare con i nuovi linguaggi elettronici, pur restando fuori dai giri concertistici importanti tra Mosca e Leningrado.

UNA SINTESI
Privo di sovvenzioni ministeriali o emolumenti pubblici (al contrario di quanto accade agli intellettuali di regime) Murzin già nel 1938 inventa un sistema per comporre che si basa sulla sintesi di suoni musicali complessi attraverso un numero limitato di toni puri, con un meccanismo che prevede di eseguire musica senza musicisti né strumenti musicali. L’impianto tecnologico della straordinaria invenzione concerne il metodo di registrazione del suono utilizzato nella cinematografia, che consente di ottenere un’immagine visibile di un’onda sonora, nonché di realizzare l’obiettivo opposto: sintetizzare un suono da un’onda sonora disegnata artificialmente.
Nonostante l’apparente semplicità di ricostruire un suono a partire dalla propria immagine visibile, la realizzazione tecnica dell’Ans come strumento musicale viene ritardata perché Murzin lavora in aree estranee alla musica e lo sviluppo del sintetizzatore è per lui un hobby con molti problemi da risolvere a livello pratico, anche in rapporto alla suscettibilità e alla diffidenza che lo attornia, nell’epoca delle purghe staliniane.
Le vicissitudini di Theremin sono differenti (e peggiori sotto molti aspetti), a cominciare dalle mirabolanti invenzioni riconosciute internazionalmente, come, negli anni 1925-1926, uno dei primi sistemi televisivi, chiamato Dalnovidenie; nel 1928 lo scienziato, pur rimanendo cittadino sovietico, si trasferisce negli Stati Uniti, dove brevetta sia il theremin (strumento musicale che porta chiaramente il suo nome) e un sistema d’allarme, vendendo alla Rca la licenza per produrre e sfruttare i diritti commerciali di entrambi. Con i soldi guadagnati, Theremin fonda la società Teletouch e affitta a New York – per 99 anni! – un edificio di sei piani per studiare musica e danza, permettendogli di creare rappresentanze commerciali dell’Unione Sovietica negli Stati Uniti.

A VISTA D’OCCHIO
Notando che gli ordini per acquistare i theremin aumentano a vista d’occhio da ogni paese del mondo, l’ingegnere decide di «trasformarsi» in musicista e di tenere numerosi concerti con le migliori orchestre negli Stati Uniti e in Europa, suonando appunto lo strumento di propria invenzione/fabbricazione; nel 1928 arriva a esibirsi con la New York Philarmonic Orchestra e a collaborare con la compagnia dell’American Negro Ballet, dove s’innamora della giovane danzatrice Lavinia Williams: il loro matrimonio sconvolge la cerchia degli amici sia statunitensi sia sovietici, che lo disapprovano per motivi di razzismo, ma la coppia ostracizzata resta unita. Benché resti assai popolare a Manhattan, con lo studio frequentato da George Gershwin, Maurice Ravel, Jascha Heifetz, Yehudi Menuhin, Charlie Chaplin, Albert Einstein, nel 1938 Léon decide di tornare in Unione Sovietica nel 1938, per ragioni mai chiarite: nostalgia della madrepatria, problemi con il fisco americano o rapimento da parte di ufficiali sovietici, come sostiene la moglie: da allora fino al 1968, in America Theremin risulta morto, e per molti anni in libri ed enciclopedie, accanto al suo nome figurano le date 1896-1938.

LE MINIERE D’ORO
In Urss, dopo un anno senza lavoro viene arrestato, condotto nella prigione di Butyrka a Mosca (marzo 1939) e condannato a otto anni di lavori forzati nei campi e successivamente nelle miniere d’oro lungo il Kolyma. Viene riabilitato nel 1947, dopo il fondamentale contributo, durante la guerra, in un’officina per prigionieri «politici», allo sviluppo di aerei senza pilota, radio-controllati: il prototipo degli attuali missili da crociera.
Dal 1964 al 1967 Theremin ritorna a occuparsi di musica, a titolo gratuito, al Conservatorio di Mosca, sia per sviluppare nuovi strumenti elettronici, sia nel perfezionare quanto inventato in precedenza; ma come replica alla notizia sul New York Times di un «Theremin vivo e al lavoro nell’Unione Sovietica», non solo viene licenziato dal Conservatorio, ma vede tutti gli strumenti, da lui pazientemente ricomposti, fatti a pezzi e gettati in una discarica da un funzionario.
A fatica trova un lavoro al Dipartimento di Fisica dell’Università Statale moscovita, formalmente assunto quale operaio in realtà attivo ricercatore fin quasi alla morte; ma pochi mesi prima di passare a miglior vita, alcuni ignoti ne violano il laboratorio in viale Lomonosov distruggendo ogni apparecchio e rubando quasi l’intero prezioso archivio (ancor oggi senza colpevoli).
Dopo Murzin e Theremin, il passaggio di testimone va a Vladimir Ussachevsky che però sceglie, appena ventenne, gli Stati Uniti, dove, oltre scrivere e insegnare (Ilhan Mimaroglu e Wendy Carlos tra gli allievi), diverrà, un pioniere della computer music, inventando anche un prototipo di sintetizzatore da lui stesso usato nelle proprie composizioni. Prima, invece, di Murzin e Theremin, c’è Arseny Avraamov compositore e teorico, pacifista e quindi fuggiasco dalla Russia zarista durante la Grande Guerra; tornato in patria nel 1917, riprende a lavorare alla famosa Sinfonia delle sirene di fabbrica, grazie a cui diviene il pioniere del suono basato sulle tecniche cinematografiche. Inventando dapprima l’arte grafico-sonica, prodotta attingendo direttamente alla colonna sonora ottica del film, e in seguito un sistema microtonale «ultracromatico» a 48 toni, arriva quindi a ultimare la sinfonia comprendente sirene e fischietti di navi della marina, clacson di autobus e automobili, sirene di fabbrica, cannoni, segnali da nebbia dell’intera flottiglia sovietica nel Mar Caspio, cannoni di artiglieria, mitragliatrici, idro-aeroplani, un «fischietto principale» appositamente progettato e le interpretazioni dell’Internazionale, della Warszawianka e della Marsigliese da parte di un coro e di una banda popolare: a condurla una squadra di direttori con tanto di bandiere e di pistole nell’anteprima a Baku (1922), per celebrare il quinto anniversario della Rivoluzione d’Ottobre.

1938, IL CAUCASO
Nel 1938, dopo anni trascorsi sulle montagne del Caucaso, per ricerche etnomusicologiche, Avraamov torna a Mosca in pieno «grande terrore» stalinista, trovandosi di colpo in un deserto culturale, stracolmo di paura, ignoranza, apatia. Poche settimane dopo, gli altri studiosi impegnati nel Caucaso vengono arrestati, mentre i documenti e archivi gli vengono confiscati dal commissariato del popolo per gli affari interni.
Nel luglio 1940, l’ex futurista Mikhail Gnesi, compositore e didatta, ma fortemente discriminato negli anni Trenta in quanto ebreo, scrive una lettera di sostegno per Avraamov: «(…) È una delle figure più importanti dell’arte musicale sovietica che abbia mai incontrato in vita mia… Avraamov dovrebbe anche essere riconosciuto come uno dei fondatori dell’acustica musicale sovietica. La maggior parte degli studiosi sovietici nel campo dell’acustica (anche con convinzioni diverse) sono suoi allievi, o hanno iniziato il loro lavoro sotto la sua influenza».

DIECI BAMBINI
Ma per Zdanov meriti e conquiste del passato non risultano importanti; ottenuta solo una modestissima pensione sopravvive, per altri quattro anni, con moglie e dieci bambini in un alloggio con un’unica stanza a Mosca.
Al di là dei fuoriusciti Stravinski e Rachmaninoff e degli ancora poco studiati Mossolov, Theremin, Murzin e Avraamov e oltre i successi altalenanti di Prokofiev e persino del gioviale quasi popolaresco sinfonista Aram Khachaturian – stupidamente accusato di formalismo dal collega zdanoviano e stalinista Tichon Chrennikov a capo dell’Unione dei compositori sovietici ininterrottamente dal 1948 al 1991, negativo emblema di ottusità artistico-musicale per intere generazioni – l’esperienza più controversa spetta al citato Shostakovich, dai trascorsi eversivi, che digerisce malvolentieri l’adeguamento agli ordini del partito di Stalin: resta per tutta la vita un «sorvegliato speciale», criticato aspramente, fin dagli inizi dello zdanovismo, per un suo melodramma, Lady Macbeth, tratto da Shakespeare, incapace di esaltare il credo sovietico, in quanto privo di eroi proletari, ma infarcito solo di figure piccolo-borghesi.
A sua volta il compositore moscovita, che si considera profondamente russo e comunista, al punto da rifiutare l’espatrio in Occidente, dove verrebbe accolto a braccia aperte, si vendica di Stalin nel 1953 «omaggiandolo» appena dopo la scomparsa, con la X Sinfonia dalle sonorità cupe, terribili, spietate, dichiarando che il secondo movimento dell’opera, definito Allegro, descriverebbe il «ritratto del volto spaventevole di Stalin»; il compositore, onorato da Kruscev e riconosciuto per la quarantennale statura internazionale si impegna poi, sino alla vecchiaia, a scrivere nuove partiture modernamente intese, suscitando postumo l’interesse di numerosi esecutori europei e americani (non ultimo il pianista jazz Keith Jarrett).
I musicisti successivi, che perpetuano una linea avanguardista lontana dall’ufficialità nel secondo Novecento sono sostanzialmente quattro: Edison Denisov, Alfred Schnittke, Sofia Gubaidulina, Arvo Pärt, a cui si può aggiungere Andrey Volkonsky per essere il primo, nel 1954, con Musica Stricta, per solo piano a impiegare il serialismo dodecafonico nella musica classica sovietica. Comune ai cinque, fin da subito, è un’opposizione al regime effettuata lavorando appartati, in quanto esclusi o espulsi dai conservatori statali e dalla programmazione concertistica, quali disobbedienti alla linea zdanoviana ancora alle soglie dell’era Gorbaciov: la loro posizione verso un sistema permanentemente corrotto e burocratico, avviene componendo raffinate partiture su forme musicali (persino antiche) rimosse o ignorate dall’ufficialità, fino a ottenere pieni clamorosi riconoscimenti in Occidente dopo la fine dell’Urss.

PUBBLICA DENUNCIA
Ancora nel 1979, Khrennikov denuncia pubblicamente Denisov e gli altri musicisti sperimentali in un discorso pubblico al sindacato dei compositori, corroborato da attacchi simili sbandierati dai media del potere come la Pravda.
Nonostante invisi al Pcus, che li giudica oppositori i nuovi avanguardisti ottengono sempre più stima, prestigio, notorietà, favore, in patria e all’estero, dalle élites intellettuali progressiste. Nell’aprile 1982, il Conservatorio di Mosca è quasi «costretto» a organizzare un concerto con musiche di Denisov, Gubaidulina e Schnittke: prima di questo evento fondamentale, l’avanguardia risulta sistematicamente esclusa dalle principali sale da concerto di Mosca e Leningrado; e solidali glasnost e perestroika, fino al crollo dell’Unione Sovietica (1991), il ruolo dei compositori di ricerca viene riconosciuto a malincuore dall’establishment musicale sovietico.
È l’opera di Volkonsky all’inizio degli anni Sessanta a ispirare diversi musicisti in molte repubbliche sovietiche; a contestare le restrizioni che fino allora governano o impongono la grammatica della composizione dotta sovietica, contribuiscono esclusivamente le innovazioni stilistiche: Denisov continua l’esplorazione volkonskiana delle tecniche seriali; Gubaidulina incorpora temi religiosi precedentemente inaccettabili; Pärt esprime un’intensa spiritualità con fare austero e minimalista; Schnittke diventa noto per un polistilismo che spesso assume temi contrastanti, offuscando le distinzioni statiche tra i generi.
«Quasi tutta – ricorda la Gubaidulina – la musica occidentale del XX secolo era proibita, fatta eccezione per Béla Bartók. Qualche volta le autorità del Conservatorio di Mosca organizzavano dei raid nei dormitori degli studenti, a caccia di partiture e di scritti di compositori occidentali contemporanei (…). Essere nella lista nera (e dunque senza possibilità di vedere eseguiti i miei lavori) mi ha dato libertà artistica; anche se non riuscivo a guadagnare abbastanza, potevo scrivere tutto ciò che volevo senza compromessi».
Il compositore ucraino, trentenne, Albert Saprykin nasce quando l’Urss è da poco disciolta e il bieco sindacato dei compositori abolito e rifondato. Oggi alle sue parole non servono commenti: «Per quanto mi piacerebbe parlare come compositore, o come orgoglioso membro del team delle Giornate di Musica Contemporanea di Kiev, o come orgoglioso membro dell’Agenzia Statale delle Arti dell’Ucraina, oggi sento l’urgenza di parlare come cittadino del mio paese. La mia convinzione è che la domanda principale che deve essere sollevata è come è successo e come possiamo fare in modo che questo non accada mai più. La questione che voglio sollevare è come la cultura abbia contribuito all’attacco russo all’Ucraina e come la cultura possa contribuire a far sì che questa guerra si fermi, e si spera non accada mai più».