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Uranio impoverito: morto a 23 anni, condanna per il ministero della Difesa

Uranio impoverito: morto a 23 anni, condanna per il ministero della Difesa

Guerre «È una sentenza storica - commenta Domenico Leggiero, dell’Osservatorio militare che da sempre segue la questione - perché conferma l’effettiva sussistenza del pericolo a cui andavano incontro i soldati in missione in quelle zone, e sono sicuro che giovedì prossimo, in audizione alla commissione che indaga sulle morti da uranio impoverito, il ministro della Difesa Roberta Pinotti terrà conto di questa importante decisione dei giudici romani»

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 21 maggio 2016

È stato impiegato in Bosnia per centocinquanta giorni. Congedato, il caporalmaggiore Salvatore Vacca, di Nuxis (in provincia di Cagliari),  è morto il 9 settembre 1999 a 23 anni di leucemia, contratta dopo l’esposizione a munizioni e a materiali tossici durante la missione nei Balcani. E il ministero della Difesa è responsabile di condotta omissiva per non aver protetto adeguatamente il militare. Lo stabilisce la sentenza emessa ieri dalla Corte d’appello di Roma, che ha confermato la condanna in primo grado del ministero a risarcire la famiglia del soldato per oltre un milione e mezzo di euro.

«È una sentenza storica – commenta Domenico Leggiero, dell’Osservatorio militare che da sempre segue la questione – perché conferma l’effettiva sussistenza del pericolo a cui andavano incontro i soldati in missione in quelle zone, e sono sicuro che giovedì prossimo, in audizione alla commissione che indaga sulle morti da uranio impoverito, il ministro della Difesa Roberta Pinotti terrà conto di questa importante decisione dei giudici romani». Salvatore Vacca ha prestato servizio per centocinquanta giorni in Bosnia come pilota di mezzi cingolati e blindati nella Brigata Sassari. Nella sua attività il caporalmaggiore sardo ha trasportato materiale che, scrivono i magistrati, si sarebbe dovuto considerare «come ad alto rischio di inquinamento da sostanze tossiche sprigionate dall’esplosione dei proiettili». Rischio che, dicono i magistrati alla luce delle risultanze processuali, «si deve reputare come totalmente non valutato dal comando militare». Questa condotta omissiva, secondo i giudici, «configura una violazione di natura colposa delle prescrizioni imposte non solo dalle legge e dai regolamenti, ma anche dalle regole di comune prudenza».

Salvatore Vacca è morto di leucemia linfoblastica acuta e c’è, secondo la sentenza delle Corte d’appello di Roma, un evidente nesso causale tra la malattia e l’esposizione ad agenti tossici nel corso del servizio in Bosnia. Nell’organismo del militare, infatti, sono state rintracciate svariate particelle di metalli pesanti non presenti normalmente nell’uomo e ciò è «la conferma definitiva – scrivono i magistrati – del reale assorbimento nel sistema linfatico di metalli derivanti dall’ inalazione o dall’ingestione da parte del militare nella zona operativa».
«La sentenza è importante non solo perché stabilisce la colpa della Difesa e il nesso causale tra uso di armi e materiali usati in Bosnia e malattia mortale, ma anche perché – spiega ancora Leggiero – sancisce un’importante distinzione tra indennizzo e risarcimento. La madre di Vacca, infatti, aveva già avuto un indennizzo per danno patrimoniale. Ora invece i giudici affermano che da parte delle autorità militari e della Difesa c’è stato un danno causato dall’inadempienza di misure di sicurezza dovute. E’ una sentenza unica nel suo genere. E se si parla di omicidio colposo di un militare morto e le vittime dell’uranio impoverito sono, come attestato, più di trecento, esattamente 333 e i malati oltre 3.600, allora che cos’è: una strage?».

Da notare che ancora nel marzo di quest’anno il generale Carlo Magrassi, segretario generale della Difesa, davanti alla commissione parlamentare sull’uranio impoverito aveva dichiarato: «Non mi risulta che siano mai stati acquistati per le forze armate italiane armamenti contenenti uranio impoverito. La tutela della salute e della sicurezza del nostro personale rappresenta per noi una priorità».

Una recente inchiesta del settimanale l’Espresso ha rivelato che al ministero della Difesa sono arrivate sinora 532 domande di risarcimento da parte di militari che denunciano danni gravissimi alla salute per esposizione a materiali pericolosi. Esiste un fondo di 10 milioni l’anno che il ministero ha a disposizione per i risarcimenti, istituito nel 2010 insieme con un “Gruppo progetto uranio impoverito” che ha il compito di studiare il fenomeno. Delle 532 domande presentate, ha raccontato l’Espresso nella sua inchiesta, tutte esaminate da un’apposita commissione medica, ne sono state accolte appena il 25%. Molti degli esclusi hanno però fatto ricorso, tanto che a tutt’oggi si possono contare una trentina di giudizi di condanna da parte della magistratura civile e della Corte dei Conti. La sentenza di ieri cambia completamente il quadro.

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