«Perché questo noi siamo: la nostra scrittura e le nostre cose; questo il nostro lascito e, ben più esattamente che in una nota biografica, il nostro curriculum»: così Michele Mari nella prefazione di Asterusher (Corraini Edizioni 2015), volume che raccoglieva fotografie scattate da Francesco Permigo alle case e agli oggetti dell’autore, accompagnate da brevi testi tratti dai suoi libri o scritti per l’occasione. Una «autobiografia per feticci», come la definiva il sottotitolo del volume, di cui Le copertine di Urania (Humboldt Books, con un testo di Luca Pitoni, pp. 75, euro 17,00) è una sorta di spin-off o concrezione.

In una pagina di Asterusher, una foto ritraeva la serie di dorsi della celebre collana di fantascienza dal numero 82 al 25 (in senso decrescente); il testo, tratto dal racconto intitolato appunto Le copertine di Urania e apparso per la prima volta in Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori 1997, poi Einaudi), rappresentava il lettore fanciullo che «piegando il collo come una vittima sacrificale» leggeva i titoli dei libri evocando con la mente gli orrori rappresentati nelle copertine. Il volume di Humboldt Books compie oggi il passo successivo: i romanzi vengono estratti dallo scaffale e, al racconto integrale, seguono le riproduzioni delle copertine evocate nel testo, fotografate dalla collezione personale di Mari. Il racconto – educazione sentimental-letteraria, ekphrasis vertiginosa, meditazione sulla pace delle atrocità immaginarie a confronto con «l’orrendo mondo fra la casa dei nonni e la mia… l’orrenda vita da vivere» – dialoga così direttamente con le illustrazioni che chiama in causa: ne guadagna l’effetto di restituzione dell’esperienza in chiave autobiografica, si perde forse qualcosa della vaghezza evocativa del testo nudo.

Sul primo aspetto, una riflessione può essere abbozzata. Mari si dimostra assai attento al rapporto tra parola e immagine: come racconta a Carlo Mazza Galanti in Scuola di demoni (minimum fax 2019), all’epoca degli anni di liceo, in cui la vocazione letteraria si era affacciata con la scrittura di alcuni racconti, la sua attività creativa principale era il disegno (di fumetti, che sarebbero poi stati pubblicati nel 2019 da Nero, nel volume La morte attende vittime). Oltre a dialoghi con pittori/illustratori come Velasco Vitali e Gianfranco Baruchello (rispettivamente in Milano fantasma, Edt 2008, e Sogni, Humboldt 2017), in alcuni casi notevoli l’incontro tra parole e immagine avviene sul campo dell’autobiografia (non solo nel già citato Asterusher, ma anche in Leggenda privata, del 2019, in cui compaiono foto famigliari e disegni). Più che una concessione alle tendenze autofinzionali contemporanee, per uno scrittore come Mari, profondamente legato alla tradizione letteraria, questi tentativi figurativo/testuali sono da ricollegare a quel tipo di «rappresentazione della casa o dello studio dello scrittore, un luogo per definizione “fantastico”, abitato dai fantasmi dell’autore», come scrive Michele Cometa parlando di doppi talenti letterario-visuali, e che può essere fatta risalire ad antenati illustri come E.T.A. Hoffmann. La funzione di incubatoio della fantasia dello scrittore svolta dalle illustrazioni di Urania è riaffermata peraltro dall’immagine della copertina di Verderame (Einaudi 2007, una copertina «semplicemente dovuta», così Mari in Asterusher) realizzata da Karel Thole, il pittore di origine olandese a cui si devono i disegni di circa mille numeri di Urania.

Oltre che camera obscura privata, la biblioteca Urania rimanda e contribuisce anche a un ritratto generazionale, che va oltre il singolo caso di Mari. Al lungo regno visuale di Thole corrisponde la reggenza altrettanto longeva della collana mondadoriana da parte di Fruttero e Lucentini (era stata inaugurata nel 1952 da Giorgio Monicelli, per poi passare nel ’62 nelle mani del solo Fruttero – reduce dal successo della pionieristica antologia Le meraviglie del possibile, curata con Sergio Solmi nel ’59 – a cui si affiancò Franco Lucentini dal ’64). La loro declinazione della science fiction, poco ortodossa e tecnologica e aperta invece al soprannaturale, all’orrore e al giallo, grazie alle numerosissime uscite della collana è diventata una presenza diffusa nelle case dei lettori italiani. Se oggi si parla di new italian weird (o «novo sconcertante italico») per indicare una rinascenza del fantastico e del perturbante nelle opere narrative dei trenta-quarantenni, lo si deve anche – e forse più che ad antecedenti di più alto blasone – al lavorio carsico dei romanzi Urania nelle biblioteche e negli immaginari di nonni e genitori. A quel lavorio hanno partecipato senz’altro, al pari (se non più) delle parole, i disegni di Curt Caesar, Carlo Jacono e Karel Thole, con il suo stile che fonde – come scrive Pitoni – «la drammaticità di Hyeronimus Bosch, il surrealismo di Dalí e forse anche certa metafisica». E non va dimenticato, in questo elenco di talenti spesso in ombra, il nome di Anita Klinz, geniale art director della Mondadori a cui si deve il progetto di questa e altre famose e durature collane, capace di far convivere le ragioni dell’arte con l’ambizione alla popolarità e al successo commerciale.