Questo luogo mi parla a cura di Sentiero Bioregionale (edizioni Montaonda, 15 euro)
Questo luogo mi parla a cura di Sentiero Bioregionale (edizioni Montaonda, 15 euro)
ExtraTerrestre

Uno sguardo nativo bioregionale per abitare i luoghi dell’esistenza

Ecologia profonda «La cosa più rivoluzionaria che puoi fare è rimanere a casa» scriveva negli anni settanta Gary Snyder, pensatore e poeta dell’Ecologia Profonda che Etain Adday, contadina e autrice, cita nella […]
Pubblicato 12 mesi faEdizione del 7 dicembre 2023

«La cosa più rivoluzionaria che puoi fare è rimanere a casa» scriveva negli anni settanta Gary Snyder, pensatore e poeta dell’Ecologia Profonda che Etain Adday, contadina e autrice, cita nella raccolta uscita per Edizioni Montaonda. Questo Luogo mi parla, frammenti di pratica e pensiero bioregionale, è il titolo del volume, che narra, attraverso racconti di vita, poemi, opere teatrali e riflessioni la sfaccettata natura dell’esperienza bioregionale in Italia.

COME SCRIVE NEL SUO SAGGIO Guido dalla Casa, docente di Ecologia Interculturale e saggista, «il Bioregionalismo, che vede i complessi bioregionali come comunità viventi, o meglio ecosistemi, senza confini precisi ma con quasi-confini dettati da entità naturali, come montagne, fiumi, aree climatiche e simili, è una specie di applicazione pratica dell’Ecologia Profonda».

ORIENTANDOSI NEL TERRITORIO con la mappa non politica delle culture native, come quella disegnata in copertina da Rocco Lombardi, è un invito a «ri-abitare» il luogo permettendogli di porci dei limiti, in una simbiosi in cui proteggiamo e riceviamo protezione, ridivenendo persone native e smettendo così di essere turisti. «Per i ri-abitanti, il mondo non è illusoria cornucopia globale: la loro delizia è farsi bastare quello che trovano nel luogo di casa». E nella comunità di relazioni complesse di vita animale e vegetale «possiamo partecipare al lavoro della convivenza e sperimentare la delizia e la fatica di questa antica interdipendenza», scrive Addey, ricordando la cura insita nel processo di inselvatichimento, in cui al centro della scena non è più l’umano con le sue relazioni, ma il luogo stesso.

UNA RIFLESSIONE IN CUI si incastona l’idea panpsichista della filosofa australiana Freya Mathews, secondo cui la materia è tutta presente a se stessa, e «il luogo di casa è il viso familiare del cosmo, pronto a dialogare con noi».

«SE IMPARIAMO DALLE PIANTE e dagli animali, vediamo che possiamo vivere, prendendo quello che ci serve senza abusare e, nonostante questo, avere un effetto positivo sulla fertilità del posto dove abitiamo» scrive Martino Lanz, contadino nelle campagne umbre, nel capitolo La storia dell’acqua a Pratale, in cui racconta l’incredibile ricerca di approvvigionamento idrico per la casa: «Ovunque mi fermo osservo e trovo lo stesso paradigma», annota portando l’esempio della ginestra, che «crea uno strato fitto di aghi secchi che mantengono umidità d’estate e rilasciano nutrienti durante l’inverno, dove i germogli delle piante da bosco possono germogliare. In più, gli aghi verdi delle piante adulte proteggono il piccolo germoglio dalle bocche golose degli animali da pascolo».

LA SCELTA DI VITA ISPIRATA dal bioregionalismo ha spesso «l’effetto di un ritorno a casa», ricorda la logopedista Cosetta Lomele raccontando la riscoperta del suo giardino nella campagna Sabina: «Ho iniziato a guardare in verticale, verso il basso, verso il particolare, il piccolo, l’incluso. Ossia ho iniziato a vedere che ogni pezzettino di spazio al contempo era come se si moltiplicasse e si includesse in un altro spazio: era diventato un giardino ad inclusione, un giardino selvatico-frattalico…».

È IN QUELL’OSSERVAZIONE profonda che si ricrea l’equilibrio che abbiamo inquinato: «Le montagne e i fiumi sono in costante cammino (come dice il poeta e bardo), i vulcani e i terremoti governano e stabilizzano gli eccessi di energia, i venti distribuiscono le acque su tutto il globo terrestre e le stagioni governano i cicli» ricorda Giuseppe Moretti, contadino fra i fondatori della Rete Bioregionale, nell’intervista della ricercatrice Julie Celnik.

E SE, ATTRAVERSO LE PAROLE di Alce Nero, «ogni posto sulla terra è il centro del mondo», la traccia di questo scambio recuperato è nella cultura orale dei popoli nativi. «Spesso rimasta subalterna ma viva, riferimento cui guardano gli indominati», osserva Luca Vitali, che di Edizioni Montaonda è editore, l’oralità, come il selvatico, segna un promemoria confortante: «In ogni dominio sopravvive un germe di alterità, subalterno ma resistente, in ogni forma di vita che abbia percezione del sé».

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