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Università e ricerca, da noi nessuna «logica neo-liberale»

Università e ricerca, da noi nessuna «logica neo-liberale»Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 30 Settembre 2020 Roma (Italia) Cronaca : Ripresa delle lezioni alla facoltà di Economia della Sapienza in tempo di Covid Nella Foto : una lezione in aula

La polemica In risposta al commento di Salvatore Cingari

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 14 aprile 2021

Il commento di Salvatore Cingari a due nostri articoli sull’università italiana ci attribuisce una serie di affermazioni mai uscite dalla nostra penna.

Nel nostro articolo mostriamo che la grande maggioranza dei finanziamenti (in termini procapite) alle università è distribuito uniformemente, come è giusto che sia.

La piccola quota premiale è anch’essa distribuita quasi uniformemente, il che è problematico perché la qualità della ricerca non è distribuita uniformemente, e lo scopo della quota premiale dovrebbe riconoscere questa realtà.

Ma affermare che, poiché la valutazione della ricerca è imperfetta, è meglio non farla del tutto, significa accettare lo status quo ed eliminare qualsiasi incentivo alle università a migliorare la propria ricerca e insegnamento. Chi ci va di mezzo sono gli studenti, soprattutto delle piccole università di provincia.

In nessuna parte del nostro articolo abbiamo sostenuto che si debba aumentare la quota premiale, né tantomeno (tranne che nel titolo, notoriamente non scelto dagli autori) che si debbano dare più soldi agli atenei più grandi e più ricchi. Anzi, la sostanza del nostro articolo era esattamente opposta.

Per Cingari, invece, noi vorremmo «aumentare in modo considerevole la parte premiale». E da questa premessa errata discendono una serie di voli pindarici e di insinuazioni infantili.

La nostra proposta equivarrebbe alla «logica neoliberale» di far pagare meno tasse ai ricchi, perché non si deve «oltre misura sostenere economicamente i ceti meno abbienti»; sarebbe lo stesso argomento della «Bell curve» di Murray, un classico del conservatorismo americano e della critica del welfare state («anche le madri single e i malati avevano mediamente qualcosa che non andava in origine»).

Ovviamente saremmo anche fautori della immancabile «austerità neoliberista» a discapito di «lavoratori, precari, disoccupati e anziani».

E la nostra proposta di aumentare di molto le borse di studio, inclusive dei costo della vita fuori sede, è solo «un dispositivo prettamente liberale ed elitista» per dare «una rinfrescata» alla «piramide sociale».

Wow … dal metodo di attribuzione della quota premiale alla quasi-eugenetica della «Bell curve», ad un attacco premeditato a disoccupati e anziani, e ad una mefistofelica cooptazione nelle élite per dividere il proletariato: quanta fantasia pur di non entrare nel merito concreto della questione.

Non può mancare la retorica che accomuna tutti i difensori dello status quo accademico: l’università italiana è già eccellente, e la sua qualità «trascende le ingannevoli cifre dei ranking internazionali».

Affermazione magari vera, (oltre che molto comoda), ma ancora una volta non abbiamo mai proposto di basarci sui ranking internazionali, anzi, l’esatto opposto: valutare significa prescindere dai ranking stabiliti da altri.

Quello di Cingari non è un confronto costruttivo sui fatti concreti, ci attribuisce le opinioni più aberranti, e non importa se non hanno alcuna relazione con il problema di partenza.

Così facendo, a nostro avviso, si unisce ai tanti difensori dell’establishment per fare il gioco dei baroni, dei nepotisti, dell’establishment universitario, e per condannare ancora una volta i ragazzi italiani alla schiavitù delle università sottocasa, senza offrire non chiediamo uno straccio di soluzione, ma nemmeno uno straccio di analisi del problema.

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