Un’isola della mente che è approdo della vita
Una scena dalla «Tempesta», al Classic Theatre di Harlem
Cultura

Un’isola della mente che è approdo della vita

Grandi classici Alla «Tempesta» che stravolge le esistenze, ma ridà senso alla «passione del vivere», Shakespeare dedicò, nel 1611, il più alto dramma della sua ultima stagione. Oggi Nadia Fusini ne dà una rilettura empatica, per Einaudi
Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 10 giugno 2016
«Navigare è necessario, non è necessario vivere», diceva il motto della Lega Anseatica, la potente associazione di armatori e mercanti che per secoli dominò i mari del Nord Europa. La vita come opzione: una sfida prometeica. Perfino metafisica e allegorica, poi, l’idea che sia impensabile non andar per mare, non scivolare nello spazio sulla materia liquida che sfugge alla presa e non si ferma mai nel suo ritmo preistorico: la cosa più vicina, sul nostro globo, all’eternità e all’ansia terribile del profondo, dello smisurato. Via via che le scoperte dei nuovi mondi si moltiplicano e compaiono continenti impensati, far rotta...
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