Cultura

Un’indagine intorno al ruolo del diritto nel nuovo conflitto geopolitico

Un’indagine intorno al ruolo del diritto nel nuovo conflitto geopolitico

Scenari «Metamorfosi della globalizzazione» di Alfredo D’Attorre, edito da Laterza. L'autore presenta una propria tesi interpretativa, possibile premessa per una risposta politica ai drammatici problemi del presente, non da ultimo quelli posti dalla guerra in Ucraina

Pubblicato circa un anno faEdizione del 19 settembre 2023

Il libro di Alfredo D’Attorre, (Metamorfosi della globalizzazione. Il ruolo del diritto nel nuovo conflitto geopolitico, Laterza, pp. 208, euro 22) è, innanzi tutto, è un libro molto utile, che si legge con gran profitto. Sono in tanti a parlare ormai della “crisi” della globalizzazione, ma non si può dire che siano molto chiare le idee con cui interpretarla, né le strategie per affrontarla. D’Attorre, che è un filosofo del diritto, muove dal suo campo di competenza specialistica, ma attinge ampiamente dalla letteratura teorica sulle relazioni internazionali e sulle dimensioni regolative del capitalismo contemporaneo, per offrire un quadro aggiornato delle diverse interpretazioni che si sono misurate, a partire dall’Ottantanove, sui nuovi equilibri (o meglio, sui crescenti squilibri) degli scenari geopolitici di oggi. Ed in ciò consiste il primo merito del lavoro di D’Attorre: offrire al lettore un quadro lucido, esposto in modo molto nitido, delle diverse letture che si confrontano oggi (un panorama che un lettore “normale”, per quanto informato e interessato, difficilmente può pensare di padroneggiare completamente). Il secondo merito è poi quello di presentare una propria tesi interpretativa, possibile premessa per una risposta politica ai drammatici problemi del presente, non da ultimo ovviamente quelli posti dalla guerra in Ucraina.

Per quanto riguarda il primo aspetto, D’Attorre ripercorre quelle che egli definisce “le disavventure dell’universalismo”, ovvero l’illusione di tutte quelle correnti di pensiero che possono essere definite come espressione di un “globalismo giuridico”: l’idea, cioè, che davvero la dimensione dello Stato nazionale fosse in via di esaurimento, e che si potesse rilanciare un classico ideale di cosmopolitismo. Da qui, la retorica dei diritti umani universali, affermati per via giudiziaria (le varie “corti” internazionali), con una curvatura in senso “moralistico” della visione dei rapporti internazionali (per cui il Nemico diviene il Male, e perciò da annientare). Una retorica che poi, di fatto, ha nascosto una perdurante logica imperialistica, l’idea nefasta che un modello di democrazia si potesse esportare con le armi. Ma il globalismo giuridico ha avuto anche una lettura da sinistra, propria di quelle correnti teoriche che hanno vagheggiato una soggettività antagonistica diffusa e molecolare, “senza frontiere”.

Venuto meno un equilibrio che si fondasse sul riconoscimento reciproco delle legittime aspirazioni di autonomia e di sovranità proprie di un assetto multipolare, ciò che ha prevalso di fatto è stata però una sorta di rinascita della medievale lex mercatoria, ovvero una regolazione giuridica delle relazioni economiche e delle transazioni finanziarie che si autonomizza e scavalca ogni dimensione statuale (e quindi ogni forma di legittimazione democratica). Il “libero commercio” veniva visto così come il veicolo di una reale unificazione del mondo, creando uno spazio giuridico post-moderno, modellato dalle attività regolative dettate dalle istituzioni economiche sovra-nazionali (non necessariamente pubbliche, anzi), funzionale alle logiche del mercato globale.

Tuttavia, come oggi appare ben chiaro, questo percorso non è certo stato un viaggio trionfale. Non occorre qui richiamare i fatti che hanno segnato, in particolare, l’ultimo quindicennio: tra tutti, la “riemersione” degli Stati, con la crescente rilevanza delle esigenze di sicurezza nazionale, che prevalgono sui miti della libertà del mercato, con i conseguenti massicci investimenti statali, in settori cruciali della competizione economica e nell’industria delle armi. Com’è possibile pensare un’alternativa a questa pericolosa china?

Il punto di partenza non può che essere il pieno riconoscimento di un multipolarismo che è nelle cose, tornando ad affidare alla politica il governo di un’interdipendenza globale da cui non si può sfuggire. In questo quadro, anche il diritto può ritrovare uno spazio suo proprio, lontano però ad ogni pretesa di regolazione pervasiva. Ed è su quest’ultimo punto che la riflessione di D’Attorre si misura in particolare: con una visione del diritto internazionale che riesca a “strutturare e stabilizzare” un nuovo ordine globale, non sulla base di “un ordinamento coercitivo unitario”, ma come uno “strumento più flessibile di negoziazione e accordo fra interessi geopolitici inevitabilmente divergenti e tra Stati che non rinunciano in toto alla loro sovranità”.

Si collocano qui le implicazioni politiche e strategiche dell’analisi di D’Attorre e che toccano da vicino tutti coloro che hanno a cuore una nuova idea di coesistenza pacifica e un modello di sviluppo sostenibile e più giusto, dal punto di vista ambientale e sociale. Ma sorge anche una domanda di ordine più generale: in che misura la ricchezza di un pensiero critico sul presente, di cui anche questo libro è una testimonianza, e che può essere constatata in molti campi della ricerca intellettuale, riesce a incontrare la politica, e quella della sinistra in particolare? Per restare ai temi di questo libro: un tempo, l’analisi della “situazione mondiale” era la premessa necessaria anche delle strategie “nazionali”: quale lettura guida oggi la “collocazione internazionale” con cui i vari soggetti della sinistra concepiscono il loro ruolo?

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