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Un’imprenditrice controcorrente

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Scaffale «Io non voglio fallire», il libro di Serenella Antoniazzi (con la giornalista Elisa Cozzarini) dove racconta la sua vita nella ditta di famiglia, gli incubi e la rinascita

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 9 aprile 2015

Dentro l’implosione del «miracolo Nord Est» si cristallizzano schegge personali. Storie di suicidi e fughe, annichilimento e devastazione, malora post-industriale e strozzinaggio legale, vergogna mortale e stigma sociale. Vite che bruciano ai margini: è il binario morto dell’ostinata mitologia sulla «locomotiva veneta» schiantata insieme a Berlusconi & Galan, eppure ancora rincorsa da Renzi & Ale Moretti alla conquista della stanza dei bottoni.

Nell’arco di trent’anni, un sogno familiare si trasforma in incubo nel capannone della Aga Snc in via Fratelli Cervi a Concordia Saggitaria, diecimila anime veneziane quasi al confine con il Friuli.
È l’impresa di levigatura del legno con otto dipendenti che incarna la metafora del «modello di sviluppo» fra l’incudine dell’autosfruttamento e il martello della truffa. La stessa vecchia storia raccontata da chi a 16 anni si rimbocca le maniche, due anni dopo detiene il 50% delle quote e nel 2012 è spalle al muro nel buco nero.

Serenella Antoniazzi (con la giornalista Elisa Cozzarini) racconta senza reticenze la sua vita che combacia con la ditta: Io non voglio fallire Un’imprenditrice in lotta per salvare la propria azienda (Nuovadimensione, pp. 187, euro 14.50) è una sorta di diario pubblico, ma anche la brutale rivelazione della micro-impresa votata allo «sviluppo» per conto terzi che finisce per pagare letteralmente per tutti. «Il lavoro è come il sole, mette in moto l’azienda con il suo personale, i fornitori, la banca, i clienti, riattiva il mercato, rimpolpa le casse dello Stato. Se manca, si ferma tutto. Non voglio perdere la speranza, non voglio rinunciare a tutto ciò che ha costruito mio padre e che abbiamo fatto crescere con mio fratello». Questa è Serenella, mancata arredatrice per levigare legno insieme ai bilanci. Una donna sull’orlo dell’abisso quando il Grande Gruppo che assicura commesse a raffica stacca la spina dei pagamenti, chiude l’attività e «rinasce» senza dover saldare un cent ai creditori.

Ma, appunto, «Io non voglio fallire». Orgoglio? Più che altro resistenza al femminile. Serenella mette in piazza il «caso Aga» con la lettera pubblicata dalla Nuova Venezia. Si attiva in una sorta di pellegrinaggio istituzionale: dalla prefettura al prete, da Federcontribuenti ai politici. «Incassa» l’insperato sostegno di un collega e, soprattutto, organizza la class action dei fornitori gabbati (a giugno è in calendario la prima udienza).

Il libro racconta anche la disperazione e i conflitti, la scelta di saldare stipendi invece dell’Iva, il Natale che è peggio della Quaresima, la tensione domestica e l’inerzia che divora non solo il sonno. Serenella oggi si descrive così: «Non sono una vittima ma sono stanca di essere spremuta come un limone. Con il libro spero di riuscire ad aiutare almeno uno dei tanti disperati che stanno vivendo quello che ho già vissuto io».

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