Un’immagine per «non morire di classe»
Ritratti La figura della fotografa e scrittrice Carla Cerati, scomparsa il 19 febbraio. Dai reportage di fotogiornalismo ai romanzi, fino alla mappatura degli intellettuali di sinistra durante il franchismo
Ritratti La figura della fotografa e scrittrice Carla Cerati, scomparsa il 19 febbraio. Dai reportage di fotogiornalismo ai romanzi, fino alla mappatura degli intellettuali di sinistra durante il franchismo
La conoscenza di sé passa spesso attraverso la macchina fotografica. È stato così anche per Carla Cerati, che nel 1960 trovò in questo mezzo la spinta per avventurarsi al di fuori del recinto domestico di un matrimonio (borghese) in crisi. La fotografia le serviva per documentare il presente, come ha spesso sostenuto lei stessa, la parola per recuperare il passato. Due aspetti creativi che si svilupparono quasi parallelamente (il primo romanzo Un amore fraterno, finalista al Premio Strega, è del 1973), ma che percorsero strade diverse.
Affermazione e contestazione si coniugavano in lei (nata a Bergamo nel 1926, visse a Milano, dove si è spenta il 19 febbraio scorso) con una capacità analitica di osservare la realtà che esprime grande coerenza. Non a caso i suoi reportage sociali vengono pubblicati sulle più importanti testate dell’epoca, tra cui L’Illustrazione Italiana, Vie Nuove, L’Espresso, Du. Fotogiornalismo, ritratto e nudo femminile sono i principali generi a cui si è dedicata in trent’anni di attività, come è stato sottolineato nelle mostre più recenti con cui che le hanno reso omaggio: Punti di vista (2007) curata da Uliano Lucas alla galleria Bel Vedere di Milano e Carla Cerati. Guardare la metamorfosi (2013) per il festival Fotografia Europea di Reggio Emilia.
All’inizio degli anni ’90, Cerati deciderà di lasciare la professione di fotografa, dedicandosi esclusivamente alla scrittura: il suo ultimo romanzo è Storia vera di Carmela Iuculano. La giovane donna che si è ribellata a un clan mafioso (2009).
Il primo lavoro professionale da fotografa è stato in ambito teatrale, quando con la Rollei acquistata a rate da suo padre, ma senza ancora sapere come sviluppare un rullino, documentò le prove dello spettacolo Niente per amore al Teatro Manzoni di Milano. Era il 1960, le sue foto piacquero al regista Franco Enriquez che le utilizzò per la stampa. Alla danza e al teatro, tra messinscena e sperimentazione, continuerà nel tempo a dedicare numerosi scatti: notissimi quelli di Antigone, messa in scena dal Living Theatre al teatro Durini di Milano nel ’67.
Del resto la quotidianità non è mai esente da maschere e recitazione, come vediamo anche nel lavoro Mondo Cocktail (esposto alla galleria Il Diaframma e pubblicato nel 1974) che restituiva uno sguardo disincantato sugli aspetti mondani, decadenti e glamour, dell’ambiente artistico e culturale milanese dei primi anni Settanta. Immagini profondamente diverse da quelle che, dieci anni prima, avevano focalizzato le radiali trasformazioni urbanistiche e sociali del capoluogo lombardo (Milano Metamorfosi).
Carla Cerati non tradì mai quella sua passione che coincideva con la consapevolezza che la fotografia potesse contribuire a cambiare la società. Il manifesto di questa teoria è stato certamente Morire di classe (1968) che, con Gli esclusi (1965) di Luciano d’Alessandro, ha avuto una funzione determinante nell’approvazione della Legge Basaglia. Avrebbe dovuto essere un «semplice» servizio fotografico quello che portò Cerati (insieme all’amico Gianni Berengo Gardin che lei stessa aveva coinvolto per condividerne la pesantezza) dentro le mura degli ospedali psichiatrici di Gorizia, Parma e Firenze. Entrambi utilizzavano il bianco e nero, ma non per accentuare la drammaticità: teste rasate, sbarre, camicie di forza, malati legati al letto. Attraverso la descrizione del luogo parlavano di dignità negata. Una denuncia d’obbligo «per convincere gli italiani che era necessario chiuderlo», affermava Berengo Gardin.
La prima edizione del libro venne pubblicata da Einaudi nel 1969, a cura di Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro, in quello stesso anno i due fotografi vinsero il Premio Palazzi per il reportage. All’introspezione psicologica, Carla Cerati ha sempre riservato un ruolo primario, che si trattasse di immagine o scrittura. Soprattutto quando l’osservazione coincideva con l’impegno politico, quello che la spingeva a seguire manifestazioni e processi (Processo Calabresi-Lotta Continua), realizzando anche una mappatura degli Intellettuali di sinistra nella Spagna Franchista, durante numerosi viaggi in Spagna tra il ’69 e il ’75. Tra questi scatti c’è anche un bellissimo ritratto di Gabriel García Márquez con la moglie Mercedes e i figli nella loro casa, realizzato a Barcellona nel 1969. Nessuno di loro guarda verso l’obiettivo, come accade spesso nei ritratti di Cerati, incluso quello di Barthes scattato durante una tavola rotonda milanese. Il saggista francese scrive in Barthes di Roland Barthes di aver sempre odiato la propria immagine fotografica, perché istintivamente portato a mettersi in posa. Si riappacificò con essa solo quando un’eccellente fotografa gli inviò un suo ritratto. Quella fotografa era Carla Cerati.
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