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Unidos Podemos, l’obiettivo di vincere come limite

Unidos Podemos, l’obiettivo di vincere come limite

Podemos è un oggetto politico controverso. Quasi conturbante. Somiglia a quelle squadre che, puntando esclusivamente a vincere, sono giudicate solo in base ai risultati. Essere efficaci, sedurre, conquistare voti, diventare […]

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 29 giugno 2016

Podemos è un oggetto politico controverso. Quasi conturbante. Somiglia a quelle squadre che, puntando esclusivamente a vincere, sono giudicate solo in base ai risultati. Essere efficaci, sedurre, conquistare voti, diventare maggioritari è stata finora la sua ossessione. Di fronte a buoni risultati lo si considera un’invenzione geniale. Risultati inferiore alle attese fanno affiorare dubbi, anche radicali, e diffidenze. Podemos vuole vincere, quindi gli si chiede di vincere. È nato per il Biltzkrieg: la guerra lampo, l’incursione «tremenda» e vittoriosa. Una strategia che aveva una scadenza: le elezioni generali. L’obiettivo non è stato raggiunto. Il ciclo elettorale si è chiuso.

Ma tutta la riflessione del partito era limitata ad affrontare questa fase. Non esiste per ora un piano B: un partito di opposizione non è ancora stato pensato. Di fronte alla ciclotimia dei giudizi su questa formazione, è giusto fare due premesse. La prima è che un partito nato due anni fa, chiaramente schierato a sinistra dei socialisti, ha stabilizzato un blocco elettorale del 20%. Parlare di un fallimento sarebbe quindi farsesco. Podemos resta un’intuizione estremamente efficace, che in un paese come l’Italia, in cui la sinistra e i movimenti versano nelle condizioni in cui versano, dev’essere studiata.

La seconda premessa è che non sempre, quando i risultati sono inferiori alle aspettative, le responsabilità sono soggettive. Ci possono essere limiti anche oggettivi all’espansione di un progetto politico alternativo, soprattutto quando è pensato in tempi molto veloci. Può essere che in Spagna quello del 20% fosse un tetto che non era ancora possibile sfondare. I cambiamenti percepiti come radicali si affermano in situazioni radicali (come in Grecia e in America Latina). Lo Stato spagnolo e i partiti storici spagnoli non sono in decomposizione.

Le élite interne sono compatte. L’economia non è al collasso. La crisi sociale è profonda ed estesa ma non tragica. In ogni caso, c’è bisogno di tempo. Quasi mai si vince al primo tentativo. E c’è, in tutte le società, una resistenza antropologica ai cambiamenti, su cui solo il tempo può scavare.
Da questo punto di vista, la strategia del Biltzkrieg aveva forse tre elementi di debolezza (rilevabili, ovviamente, solo in base ai risultati): era un’ipotesi fondata sull’idea di una crisi verticale dell’egemonia del bipartitismo spagnolo, che non ha l’entità immaginata; si pensava che la potenza comunicativa potesse supplire all’assenza di un radicamento territoriale, che PP e PSOE mostrano invece di avere ancora (in forma, in gran parte, clientelare); quella mitologica creatura che è «lo spagnolo medio» (su cui Podemos basa la propria comunicazione) è meno disponibile al cambiamento di quanto si immaginasse.

Qualche errore può poi esser stato fatto anche nella campagna elettorale di Unidos Podemos (UP). La campagna è stata interamente disegnata a partire dalla convinzione (demoscopica) di essere saldamente in seconda posizione, davanti al PSOE e a pochi punti dal PP. L’avversario ti definisce. Bisogna vedere quanto ti lasci definire. UP si è lasciata definire dai sondaggi e dalla «campagna della paura» degli avversari, che ha costantemente associato la vittoria di UP all’instaurazione di un regime bolivariano.

UP ha impostato il suo messaggio su questi fattori, permettendo che oscurassero l’idea del cambiamento e della novità. Ha giocato in difesa, da un lato per proteggere il risultato virtuale della seconda posizione, dall’altro per rassicurare sul fatto di essere dei bravi ragazzi, il partito patriottico della legge e dell’ordine, che porta solo un po’ di cambiamento. Il messaggio disegnato da questo doppio movimento è risultato forse eccessivamente contenuto, poco chiaro, non abbastanza capace di contrastare il discorso aggressivo di PP e PSOE, ripetitivo, semplificato, sloganistico, a volte (come dall’interno accusa Monedero) perfino un po’ vuoto, basato su simboli ultra-pop come il cuore e il sorriso. Chi ha vinto, come Syriza e le sinistre sudamericane, ha attaccato frontalmente il centro-sinistra liberista. Podemos ha suonato note mielose.

Secondo aspetto. I discorsi di Podemos e Izquierda Unida non si sono armonizzati. IU faceva un tradizionale discorso di trasformazione sociale. Podemos un discorso di patriottismo progressista. Non è stata una sinfonia, ma la giustapposizione di due motivi diversi, che devono aver confuso una parte di elettorato. Le prime inchieste post-voto sembrano infatti ricondurre il milione di voti persi da Podemos-IU a una crescita dell’astensione tra le sue fila, segno di un’insufficiente mobilitazione dell’elettorato. Terzo aspetto. UP ha impostato una campagna di polarizzazione tra sé stessa e il PP. Questo ha mobilitato sia l’elettorato del PP (terrorizzato da Podemos) che quello del PSOE (punto sull’orgoglio).

Quarto aspetto. Per l’impostazione teorica che ha, Podemos è sembrato convinto che il Discorso (le parole, la comunicazione, i messaggi verbali ed estetici lanciati su TV e social media) possano sostituire la presenza sociale. Il partito non stringe alleanze con i corpi sociali. Non fa iniziative concrete rivolte a gruppi specifici. Per fare un esempio, il suo principale problema in questa campagna era il voto degli anziani. Per affrontarlo, ha pensato che fosse sufficiente parlare degli anziani, invece che fare iniziative pubbliche con realtà sociali che potessero parlare non di quel mondo, ma direttamente con quel mondo. Non esistono iniziative pubbliche di Podemos con associazioni, movimenti, organizzazioni sociali. Il fallimento del Blitzkrieg dimostra che il Discorso e i media non possono (ancora) tutto. In questi due anni Podemos ha parlato e inscenato, esaurendo la sua attività nelle campagne elettorali e nella comunicazione. Può essere che non basti? La società continua ad avere, per fortuna, una sua dimensione materiale, una vischiosità non assorbibile nella liquidità mediatica.

Forse da qui può cominciare il piano B. L’alleanza Podemos-IU sembra per ora reggere al colpo. Ma lo specifico della situazione spagnola, che la rende così interessante e peculiare, è il ciclo mobilitazione sociale-innovazione politica-successo elettorale. E se la situazione di forte incertezza che si apre in Spagna riportasse il pendolo alla prima casella? L’opposizione può anche essere salutare. Un ritorno alla mobilitazione sociale, sostenuta da quella che è ora una grande sinistra politica organizzata, potrebbe riaprire i giochi, allargando ulteriormente il terreno del conflitto politico. Dalla Spagna possono arrivare, nei prossimi mesi, altre sorprese. E in Italia è sempre più utile, e necessario, prendere appunti.

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