Cultura

Un’effimera economia dell’evento

Un’effimera economia dell’eventoUno dei progetti architettonici per "Expo 2015"

Saggi «Expopolis» del giornalista di Radio Popolare Roberto Maggioni. L’esposizione universale del 2015 a Milano significa cemento, debito pubblico e precarietà. Un libro-inchiesta sulla rete di interessi dietro il progetto

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 13 luglio 2013

La MayDay 2013 è stata aperta da un grande striscione: «Expo 2015: debito, cemento, precarietà». Ai numerosi partecipanti venivano dati delle carte e delle pedine per partecipare collettivamente ad un gioco di squadra, denominato «Expopolis: il grande gioco di Milano 2015». Il riferimento a Monopoli è evidente. Expopolis è anche il titolo del libro curato dal Collettivo Off Topic e da Roberto Maggioni, redattore di Radio Popolare Milano (edizioni Agenzia X, pp. 174, euro 13), che come il gioco del Monopoli, guida il lettore a esplorare i percorsi, i fatti e soprattutto gli antefatti che hanno portato alla nascita e allo sviluppo di questo grande evento, come d’altronde emergeva nell’intervista all’autore del libro a Luca Fazio lo scorso 9 luglio. Ma è sufficiente leggere le prime pagine per rendersi subito conto che non si tratta di un gioco e che la faccenda è estremamente seria. Le banche, le fondazioni, le congreghe e le mafie stanno muovendo le loro pedine per accaparrarsi le fette più ghiotte della torta dell’Expo. A noi, debito, cemento e precarietà.

Le privatizzazioni del debito

Debito. Il giorno dopo l’elezione di Pisapia a sindaco di Milano, l’ex-presidente della Lombardia Formigoni costituisce la società Arexpo SpA, la newco che dovrà acquisire i terreni sui cui imbandire la tavola di «Expo 2015». La precedente giunta Moratti aveva già deciso che l’area interessata sarebbe stata quella del Nord-Ovest di Milano, tra Rho e la Fiera Milano. I terreni sono di proprietà della stessa Fiera Milano e della Belgioiosa Spa (leggi Cabassi, uno dei palazzinari più noti di Milano). Il costo è 120 milioni, deciso in funzione della quota di terreno edificabile (lo 0.52% stando al progetto attuale). Arexpo Spa è costituita da partecipazioni congiunte della Regione Lombardia e Comune di Milano per quote uguali (34,6%) e da Fiera Milano (27%). A tal fine il Comune di Milano sborsa 32 milioni di Euro. Ma non bastano.

Di fronte alle resistenza delle banche di operare fidi per l’inizio della cementificazione per carenza di garanzie sulla loro restituzione (il che già di per sé la dice lunga sulle prospettiva economiche dell’intero progetto), il Comune di Milano delibera, nel riequilibrio del Bilancio 2012, di stanziare una fideiussione pro banche di 55 milioni. La somma complessiva diventa quindi 87 milioni di euro, guarda caso una cifra non molto lontana da quella che il Comune vorrebbe ricavare (finora senza riuscirsi) dalla vendita di una dei gioielli di famiglia: la Società Aereoportuale Sea, che gestisce con buoni utili gli scali di Linate e Malpensa. In altre parole, il solo Comune di Milano si è già oggi indebitato per quasi 100 milioni di euro e per far fronte a ciò, in vista di rientri poco sicuri e improbabili, privatizza le public utilities.
I recenti casi di Atene 2004, Torino 2006 e Saragozza (Expo 2008) non inducono a ottimismi sulla resa economica di tali eventi.

Cemento. Quando Milano ha vinto la concorrenza di Smirne nel marzo 2008 era stato presentato un progetto faraonico: costruzione di tre grattacieli nell’area ex-fiera, due linee metropolitane (la 4 e la 5), costruzione di vie d’acqua e di padiglioni nell’area adibita con possibilità di riuso a vantaggio della cittadinanza, il progetto di un grande orto botanico e così via. Tale progetto è stato fortemente ridimensionato. Non stupisce che ciò sia avvenuto a scapito di quelle infrastrutture che più potevano avere funzione sociale. La linea 4 della metropolitana è stata sacrificata per far posto alla accelerazione della costruzione di infrastrutture (Pedemontana, Brebemi, e Tem su tutte) che presentano appetiti speculativi ben più ampi.

La logica delle spartizioni

A tal fine si costituisce la Expo SpA, il centro della spartizione politica, ma politically correct. Dei due principali appalti (con bando pubblico, ovviamente), il primo viene vinto dall’onnipresente colosso delle cooperative della Cmc (58,5 milioni di euro con ribasso del 42,8& rispetto alla base d’asta), il secondo dal gruppo veneto Mantovani SpA (165,1 milioni, con ribasso del 41%) ritenuto vicino al Pdl. Sotto queste due capofila, poi, si collocano miriade di aziende in subappalto, «alcune beccate con le mani della Mafia (Ventura SpA), altre sospettate di mazzette a politici regionali (Fratelli Testa e Consorzio Stabile Litta), altre indagate per traffico illecito di rifiuti (Elios Srl), altre ancora che non avevano i requisiti per fare il lavoro richiesto (Pegaso Srl)». Vi è infine lo scandalo della bonifica dei terreni su cui dovrebbe sorgere l’Expo. Per evitare amare sorprese ben il 40% non viene sottoposto a nessun controllo.

Precarietà. È notorio che il settore delle costruzioni è un ricettacolo di precarietà ai massimi livelli e di lavoro nero. Essendo poi l’Expo un evento una-tantum (della durata di 6 mesi), l’incremento occupazionale è del tutto temporaneo. A tale scopo, il nuovo amministratore delegato di Expo SpA, Giuseppe Sala, ha recentemente chiesto una deroga speciale per poter assumere nel periodo dell’Expo lavoratori precari al di fuori dei minime garanzia richieste dalla legge. Nonostante il diritto del lavoro italiano, dopo anni di riforme, consente oggi alle imprese di assumere come e quando si vuole, per le imprese non è ancora sufficiente.

È evidente il classico tentativo di compensare il probabile ricarico dei costi di costruzione dei padiglioni. Proprio in questi giorni, Cmc ha fatto sapere che rispetto all’appalto già vinto vi sarà un incremento dei costi di circa 30 milioni (è in corso al riguardo un accertamento della Procura per il sospetto di «turbativa d’asta»).

L’«economia dell’evento» ha acquisito un ruolo centrale nei processi di valorizzazione del capitalismo attuale. In essa confluiscono produzione simbolica, marketing territoriale, economia della conoscenza, finanziarizzazione e speculazione del territorio e dello spazio. Sono questi gli ambiti che oggi sono in grado di produrre maggior valore aggiunto.

Metafora del presente

Si tratta di produzioni che permettono di sfruttare la cooperazione sociale, le esternalità positive e la vita delle persone: sono il paradigma dell’espropriazione non tanto dei beni comuni ma del «comune». Ed è proprio grazie alla generalizzazione del paradigma della condizione precaria come antico e nuovo architrave del rapporto di sfruttamento capitale-lavoro che ciò può realizzarsi. «Expo2015» diventa così la metafora più dirompente dei processi di accumulazione capitalistica di oggi.

Indagare e fare inchiesta sulle procedure tramite le quali tale biopotere si manifesta – come fa questo libro – è non solo il primo passo per fare controinformazione (parola desueta, oggi, nell’attuale deserto dell’informazione) ma anche condizione necessaria per un processo di soggettivazione e di conflitto in grado di produrre alterità. Vedremo se sarà anche condizione sufficiente.

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