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Un’educazione diffusamente sentimentale

Un’educazione diffusamente sentimentalefoto Lapresse

Dal web alla scuola Le violenze, soprattutto durante la pandemia sono cresciute anche tra le bambine e le adolescenti. Nel rapporto «Indifesa» di Terre des Hommes si parla di 1.260 bambine e 1.117 bambini che hanno subito violenze in famiglia. In aumento anche i reati telematici, tra questi la detenzione di materiale pornografico realizzato con minorenni (+ 14% in un anno, + 525% in un decennio). Serve un lavoro politico e di tessitura importante per scardinare questo genere di fenomeni

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 27 novembre 2021

La situazione è grave e pesante: siamo di fronte a un dato strutturale per il nostro Paese. E tuttavia la pandemia ha determinato un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita delle donne italiane accompagnato, naturalmente, da un aumento esponenziale della violenza domestica. Alcuni dati, fra tutti, dovrebbero farci riflettere. Riguardano l’infanzia e l’adolescenza. A metterli in evidenza è il recente rapporto «Indifesa» di Terre des hommes che segnala una crescita – rispetto al 2019 – del 13% delle vittime minorenni del reato di maltrattamenti contro famigliari e conviventi: per dirlo in altri termini, ben 1.260 bambine e 1.117 bambini hanno subito violenze in famiglia che hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine (e chissà quanti altri casi non segnalati ci sono stati). Inoltre, complice sempre il lockdown, sono cresciuti del 13,9% anche i reati telematici, tra questi la detenzione di materiale pornografico realizzato con minorenni (+ 14% in un anno, + 525% in un decennio).

Per tutti i reati relativi all’infanzia e all’adolescenza esiste un tema di genere: l’89% delle vittime di violenza aggravata, l’88 nel caso della violenza sessuale, il 65% della pornografia – per fare qualche esempio – sono bambine e ragazze.
Questo significa che c’è un pezzo di popolazione – le bambine e le adolescenti – completamente indifesa a cui serve protezione da parte di tutte le istituzioni, formali e non formali. Ecco perché gli adulti devono essere preparati a cogliere i segnali di richiesta d’aiuto e capaci di cogliere la complessità che li circonda. Abbiamo bisogno cioè – noi per primi – di un’educazione sentimentale per affrontare questi problemi.

Il rapporto con il web della generazione nativa digitale, per esempio, è qualcosa che ha trovato tutti – anche noi donne – impreparati dal punto di vista culturale. Facciamo fatica a decodificare il segno di questo rapporto a volte di dipendenza, a volte di consapevolezza, di emancipazione, di condizionamento. L’idea di esistere solo se si dà comunicazione della propria esistenza è un tema che dovrebbe ossessionare la nostra riflessione «femminista», perché stiamo parlando di un fenomeno che ha a che fare con la parola e anche, molto, con i corpi, il linguaggio fotografico e audiovisivo.

Nell’esposizione di se stesse da parte delle ragazze c’è un elemento di libertà che invece condizionava molto le nostre generazioni. Ma se loro oggi hanno la libertà dell’autorappresentazione, forse corrono anche il rischio di diventare totalmente schiave di un certo mondo dell’immagine. Serve una riflessione compiuta perché – tra consapevolezze e inconsapevolezze – intanto ci sono alcuni fenomeni inequivocabili: cresce la pornografia amatoriale in rete, il revenge porn diventa un fenomeno diffusissimo, aumentano gli stupri filmati tra gli adolescenti. Insomma c’è un problema che ci impone di rivedere alcuni modelli, a partire dal racconto della violenza e dell’adolescenza nei mezzi di comunicazione e nella cultura in generale.

Ma soprattutto ci impone una riflessione forte sulla scuola, l’unico luogo – al di fuori della famiglia – in cui poter fare prevenzione. Anni fa, da deputata, depositai una proposta di legge per l’introduzione dell’educazione sentimentale nelle scuole di ogni ordine e grado. Con l’aiuto di operatrici dei centri antiviolenza, psicologi, assistenti sociali, con le accademiche che si sono occupate di studi di genere, con le associazioni che già insegnano nelle scuole l’educazione alla differenza avremmo potuto formare docenti in grado di offrire strumenti di prevenzione e capaci di cogliere questo afono grido d’aiuto.

Non è troppo tardi. La mia proposta è ancora valida: lanciammo una campagna – Un’ora d’amore – a cui risposero in migliaia. Gente comune, insegnanti dirigenti scolastici, studenti, editori, giornalisti, il mondo della cultura. Fu un successo enorme dappertutto, tranne che in Parlamento. Il ddl Zan conteneva una parte di proposta: poco se n’è parlato e troppo sulla difensiva. Serve una nuova offensiva: se non crediamo noi nel potere della prevenzione difficilmente potrà farlo chi pensa di risolvere tutto con qualche anno di carcere in più.

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